La sfida è come sempre entusiasmante. Prima di tutto la location, che non è la frazione di un palazzo medievale, come in Umbria. È un deposito di frutta siciliana, in uso fino a sei anni fa, con affaccio su una via qualunque del quartiere popolare di Torpignattara. Primo obiettivo, infatti, in accordo con i partner istituzionali – tra cui il VI Municipio e il Mlac – è quello di portare artisti, scrittori e poeti nella periferia urbana della capitale, fucina dell’avanguardia stessa.
Il viaggio iniziatico di
Wunderkammern Opening pArty si svolge attraverso tre tappe, che coincidono con ambienti diversi dello spazio espositivo. L’ingresso-dining room è il luogo di contaminazione tra arte e privacy, grazie alla presenza straordinaria di oggetti e mobili di design, tra cui il tavolo dello studio di Luce d’Eramo, le creazioni di
Paolo Porcu Rodriguez, nonché “l’angolo di Spello” con il frigorifero di modernariato e i due ritratti fotografici dei nonni di
Franco Ottavianelli, fondatore e presidente dell’Associazione Wunderkammern.
È qui che si concentrano i lavori presentati da Simonetta Lux: il sofisticato giardino virtuale in 3d di
Mariagrazia Pontorno e le fotografie scattate da
Claudio Abate durante la performance
Turban di
Sükran Moral al Mlac. “
Non si tratta di una collettiva”, precisa Ottavianelli, “
ma di singole mostre proposte dai vari critici. In questo caso, essendo l’inaugurazione, ne abbiamo voluti quattro. Non c’è un direttore artistico della ‘galleria’. Di volta in volta, dopo esser state approvate dal Comitato scientifico di Wunderkammern, verranno presentate mostre di curatori indipendenti”.
Il cortile-giardino è il palcoscenico della caustica performance
C’era una volta di
Myriam Laplante, in versione principessa con il suo ranocchio-principe-fantoccio. Scendendo nelle viscere dell’edificio, infine, in quella grotta-cantina che trasuda mistero, trovano collocazione i site specific di
Adele Lotito, con le sue pitture di fumo di candela su lastre metalliche, e i lavori di
Raul Gabriel, uno sui semafori geneticamente modificati e l’altro sull’inscatolamento di oggetti.
Muovendo da una scelta puramente cromatica, Gabriel – con grande rigore estetico – inscatola in contenitori di vetro da conserva oggetti diversi (teli chirurgici e feti di cani malformati, nati morti, in immersione nell’alcool), rappresentazione simbolica della tendenza dell’individuo a racchiudere dentro di sé qualsiasi cosa, dal dolore alla banalità.
Quanto al semaforo, è un soggetto particolarmente stimolante per l’artista, soprattutto quando “
diventa, visivamente, la porta verso un altro mondo. Verso la profezia dell’immondizia tecnologica, perché il semaforo – con i suoi tre cerchi, ovvero il numero 3 e la forma del cerchio – è la summa della perfezione occidentale e orientale. Dentro la banalità si nasconde la meraviglia, se ci sono gli occhi giusti per leggerla”.