Conoscendo la zona dei Monti Cimini non m’è difficile immaginarla coperta da una fitta selva, così come la vide Plinio il Vecchio: un naturale baluardo a Sud irto d’intrecci e misteri che s’estendeva lungo le pendici laviche del gruppo montuoso che fa da corona al lago di Vico.
Tra quelle contrade trovò luogo la residenza della bella sorella di Alessandro Farnese, Giulia, storica amante di papa Alessandro VI Borgia, quindi rampa di lancio per la carriera del fratello che da, cardinale, divenne a metà del XVI secolo, papa Paolo III. Tale sito è un castello che domina il piccolo borgo di Carbognano, un robusto rifugio di una fragile e mitica bellezza. Questo luogo contraddittorio, lontano dalle scene rutilanti di Roma, nascosto oltre la selva, è oggi sede di un Centro per l’arte Contemporanea. Una realtà unica nel territorio della Tuscia, terra scelta come residenza da molti artisti
Il progetto prendeva le mosse dal desiderio di convogliare l’arte degli ultimi decenni in un archivio attivo ed ha, come punto di partenza, la mostra inauguratasi ufficialmente il 30 novembre. Gli artisti Dafni & Papadatos, Carlos Garaicoa, Sora Kim, Gioacchino Pontrelli e Francesco Simeti si sono confrontati con la grande aula vuota della chiesa, cioè uno spazio che, sebbene appaia fortemente connotato, ha la caratteristica di rileggere le destinazioni d’uso che si sono avvicendate nel tempo, tanto che anch’esso può esser definito “un archivio”. Da chiesa, infatti, S. Maria è diventata sede della Croce Rossa (si notano ancora le indicazioni per le strade del paese) ed una serie di vicissitudini, rasentanti l’abbandono, hanno finito per aprirlo all’arte. Un portale antico è ora la soglia delle meraviglie, tanto il chiarore elettronico delle luci e dei video accende l’oscura vacuità e sospende il tempo in un singolare bilanciamento tra storia ed evento contemporaneo. Un contenitore dalle pareti scabrose e ancora incrostate di antiche pitture, ormai ridotte a lacerti indecifrabili sembrano un’insolita texture informale. Ebbene, l’umbratile cubatura vuota è coperta da un industrialissimo tetto di lamiere ondulate sorrette da capriate in ferro dipinte di rosso e nel buio le opere degli artisti sembrano galleggiare.
L’archivio attivo messo insieme da Daniela Bigi è: Una relazione stretta con la realtà e sostanzia buona parte delle poetiche degli artisti emersi negli ultimi dieci – quindici anni, passando sia attraverso l’esperienza diretta che, in pari misura, attraverso quella mediatica. L’atteggiamento costruttivo, sul quale insiste la Bigi nell’inquadrare il corpus delle opere rappresentate, è chiaramente scovato nell’intenzione di ritoccare quella passività ricettiva, focalizzando le coscienze emergenti che vedono nell’arte un impegno esistenziale, oltre un’indagine sul presente.
Il viaggio sentimentale rubato da Sora Kim è un continuo dissolversi delle immagini dello slide – show del reportage di un testimone oculare, una funzione visiva demandata in cui l’esistenza viene traslata dalla registrazione, in un contesto compartecipativo di artista – regista e soggetto – attore (il video in mostra è Vacance de Mr. Lee 2001). Le immagini del luogo dell’esperienza indiretta acquistano un sapore di languida malinconia, causata della distanza del ricordo di una emozione pregressa.
È ancora più significativa la sparizione dell’effetto della notizia tramite la ripetizione ossessiva dell’immagine estrapolata dai media, ridotta ad un motivo decorativo. L’annientamento del significato avviene per moltiplicazione del significante, il messaggio attraverso l’effetto di ridondanza assume l’aspetto di un rumore di fondo, di uno sfondo una carta da parati di ogni singola esistenza. Queste sono le crude immagini che Francesco Simeti ha reiterato sulle sue superfici (Bubbles, 2002). Nate per turbare, allarmare e far riflettere
Ma un uomo informato dei fatti del tutto cosciente che è possibile muoversi attraverso coordinate normalizzate – quelle che ci confortano e c’indirizzano in un’etica dei consumi – si riflette nel paesaggio del duo Dafni & Papadatos, a mio avviso migliore opera in mostra (Idle report 2002), in cui il Panopticon, simultaneamente sentinella e guardone, si trasforma in un sinottico misuratore e classificatore della realtà. Il parco soleggiato è un impressionistico coacervo d’emozioni in cui vivono rarefatte immagini di una lontana arcadia umana, ed ecco nel mirino del mondo moderno pesi e misure tracciano una griglia.
Al centro la meditazione sulla vanitas vanitatis (è l’installazione Now let’s play to disappear II, 2002,) di un modo che si regge su simboli sempre più precari c’è data in modo suggestivo dagli agglomerati di Carlos Garaicoa. Su un tavolo di ferro, tante piccole candele in forma d’edifici, simbolo della civiltà, si squagliano e svaniscono. Una fiammella arde sulla Basilica di S. Pietro in Vaticano, sulla torre Moscovita di Iofan, sull’Empire State Building, su piccole riproduzioni, souvenir dell’umana tracotanza che s’afflosciano liquidi, ma sul tavolo vediamo anche piccoli gruppi anonimi di umili case, quasi a dire che la distruzione non è solo simbolica.
Infine l’interno privato di Gioacchino Pontrelli del grande quadro Double Room (2002, dittico) gioca sul rapporto tra cromatismo e acromia in uno scambio tra due porzioni di spazio. Complice un diverso approccio descrittivo, il distacco noumenico del disegno stride e si contrappone con il calore della stanza anni Settanta. Che sebbene vuota ed inanimata, riesce a conservare la presenza umana tra gli oggetti dei ricordi.
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marcello carriero
mostra vista il 30.XI.2002
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