Un bacio, lo schiocco: una progressione che diviene
musica, poi trasposizione geometrica dalla quale generare una serie di rimandi audio-visivi,
seguendo la struttura di una nuova formula pseudo-magica, quella dell’
Abacaba. Non è abracadabra appunto, ma ci
va vicino, e
Damián Turovezky ne ha curato la composizione musicale; il resto lo hanno
architettato i
Conceptinprogress (Amparo Ferrari, Buenos Aires, 1977; Sebastian Zabronski,
Buenos Aires, 1974. Vivono a Venezia).
Collettivo argentino dalle sperimentazioni site specific,
ha creato per Furini un gioco concettuale di segni e significati che ruotano
attorno al senso ritmico dell’
Abacaba e si disperdono in tre aree della galleria con un
disegno, una pioggia di baci in cartoline e l’installazione audio
Rondò.
Primo fra tutti, “l’architettonico” foglio sul fondo della
parete si srotola alla vista come se fosse una mappa lessicale e, mentre lascia
che l’“
intervenzione” insegua “
le piccole facce dei kiss nella mappa”, “
la percezione auditiva del ‘Rondò’
dà vita a un gioco a incastri d’allegorie che – sulla traccia dello scoccare
ritmico del bacio – assumono diverse formalizzazioni o formulazioni, ognuna
delle quali pretende di essere la migliore espressione dell’idea originale,
quella stessa riappropriazione di un linguaggio non quotidiano che non ha
bisogno di senso o obiettivo come non ne ha bisogno un’edera per continuare a
crescere”, scrive
Antonio Arévalo. Il quale dimostra come il senso di una parola familiare possa
vincolare la scelta visiva e immaginaria che si ha del suo significato, nella
costruzione del significato stesso.
È così che il duo ha manipolato l’icona sonora e visiva di
un bacio, ne ha estrapolato il rumore e l’appartenenza semantica, creando dalla
stessa un susseguirsi di rimandi, un “rondò” visivo che si perde nel suo schema
metrico e si lascia “violentare” dalla decisione artistica dell’esposizione:
opere e quadri toccano terra posando sul muro destro della galleria, danno le
spalle al visitatore, mostrandosi solamente su richiesta dello stesso.
A turno, in base alla scelta arbitraria nel momento della
visita, il fruitore potrà vederle singolarmente e creare a sua volta un
determinato percorso visivo rispetto a quello suggerito dagli “oggetti-segni”
che costituiscono l’esposizione. L’oggetto d’arte svanisce nonostante la
presenza fisica della sua presentazione: un camuffamento.
Il quadro scompare dietro la sua amplificazione
concettuale, segna lo scarto del rimando visivo di un
de Chirico o di un
Magritte venuti male che, accatastati l’uno
di fronte all’altro, sono lì perché parte di un gioco, di uno schiocco, dell’interpretazione
dell’
Abacaba.
Che – per dirla con le parole del curatore – “
appare come forma trascinante
d’edera che sale e si diffonde o come moltiplicazione matematica delle
ramificazioni di uno stesso albero. Perché le idee, partendo da un unico ceppo
originario, si connettono per concetto o forma in diversi rami e l’immagine
seguente si rappresenta come la rappresentazione di questi nuovi rapporti all’interno
di un processo in cui le biforcazioni si connettono in circoli concentrici”.