Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
21
dicembre 2009
fino al 23.I.2010 Kilian Rüthemann Roma, Istituto Svizzero
roma
La “doppia ricchezza” dei materiali: composizione fisica e suggestione simbolica limano la ricerca del giovane svizzero. Attento allo spazio che accoglie la materia. Senza invaderlo sino in fondo...
A prima vista non capisci, sei disorientato. Scendi le
scale e la Sala Elvetica apre il ventre dell’Istituto Svizzero, accogliendoti
in un colonnato freddo, che taglia lo spazio in verticale. A terra, tracce di
una X sbriciolata: cemento e gesso bianchi sbarrano la percezione visiva ampia
che si dovrebbe avere dello spazio.
Kilian Rüthemann (Bütschwil, 1979; vive a Basilea) gioca con la materia e
con il luogo in cui decide di porla: sulla parete di sinistra, una linea
triangolare solida fuoriesce dal muro, attraversandone per gran parte la
lunghezza; senza conservare una geometria diritta, ondeggia impercettibilmente,
segnando il suo inizio e la sua fine. È bianca come la grande X a terra e con
essa racconta dell’istintività rudimentale che l’artista svizzero ha voluto
mostrare. Tracciata a mano libera, con l’ausilio di uno strumento artigianale, Untitled
nulla pretende
più di quello che appare, un delicato quanto vivo inno alla manualità.
A completare la sua prima personale curata da Salvatore Lacagnina,
Kilian espone 13 lame in selce lungo la parete frontale, passando in rassegna
la loro minutezza, a testimonianza di un’epoca primitiva nella riproduzione di
utensili secolari, i primi che l’uomo ha potuto concepire, partendo dal
semplice espediente naturale. L’artista esprime ancora una volta la sua fiducia
nella materia, studiandone, con lo spazio, la mutevolezza a cui il tempo la
costringe e affidandosi alla momentanea permanenza delle sue creazioni.
Le opere di Rüthemann, infatti, vengono poi distrutte per
essere riportate alla loro originaria forma materiale. Lo spazio nella sua
ricerca, come è stato per la Sala in questione, è affrontato dalla
sperimentazione che l’artista attua su poliuretano, catrame, gesso, legno, sale
e su tutto ciò con cui viene messo a confronto, scovando una funzione simbolica
e una struttura fisica altra rispetto a quelle convenute nel materiale stesso.
Influssi dell’Arte Povera e della Land Art si ritrovano
nei suoi lavori passati, in cui non si limita a stabilire un contatto
circoscritto con ciò che propone (com’era stato per le bacchette di telescopi
in alluminio installati all’interno di un parco nel 2006), ma mette in
relazione la materia che affronta lo spazio in cui si manifesta, esasperando
delicatamente quegli aspetti ignari ma innati dei diversi elementi e materiali
con cui si misura. Non a caso, un semplice segmento di parquet viene sollevato
da terra mantenendo la sua forma di pavimentazione originaria, mentre tuttavia
appare innalzato come uno stendardo, sorretto da una semplice asta di legno (Untitled, 2007).
Non basta quindi soffermare l’attenzione al bianco della
Sala Elvetica, ma – come spesso accade per molti giovani artisti di questa
complessa arte contemporanea – è necessario spingersi oltre per capire,
ricercare, insomma, entrare nella concezione di opere che sfruttano sempre più
la soggettiva pulsione personale all’interno di una ricerca talvolta
ambientale, talvolta sociale.
scale e la Sala Elvetica apre il ventre dell’Istituto Svizzero, accogliendoti
in un colonnato freddo, che taglia lo spazio in verticale. A terra, tracce di
una X sbriciolata: cemento e gesso bianchi sbarrano la percezione visiva ampia
che si dovrebbe avere dello spazio.
Kilian Rüthemann (Bütschwil, 1979; vive a Basilea) gioca con la materia e
con il luogo in cui decide di porla: sulla parete di sinistra, una linea
triangolare solida fuoriesce dal muro, attraversandone per gran parte la
lunghezza; senza conservare una geometria diritta, ondeggia impercettibilmente,
segnando il suo inizio e la sua fine. È bianca come la grande X a terra e con
essa racconta dell’istintività rudimentale che l’artista svizzero ha voluto
mostrare. Tracciata a mano libera, con l’ausilio di uno strumento artigianale, Untitled
nulla pretende
più di quello che appare, un delicato quanto vivo inno alla manualità.
A completare la sua prima personale curata da Salvatore Lacagnina,
Kilian espone 13 lame in selce lungo la parete frontale, passando in rassegna
la loro minutezza, a testimonianza di un’epoca primitiva nella riproduzione di
utensili secolari, i primi che l’uomo ha potuto concepire, partendo dal
semplice espediente naturale. L’artista esprime ancora una volta la sua fiducia
nella materia, studiandone, con lo spazio, la mutevolezza a cui il tempo la
costringe e affidandosi alla momentanea permanenza delle sue creazioni.
Le opere di Rüthemann, infatti, vengono poi distrutte per
essere riportate alla loro originaria forma materiale. Lo spazio nella sua
ricerca, come è stato per la Sala in questione, è affrontato dalla
sperimentazione che l’artista attua su poliuretano, catrame, gesso, legno, sale
e su tutto ciò con cui viene messo a confronto, scovando una funzione simbolica
e una struttura fisica altra rispetto a quelle convenute nel materiale stesso.
Influssi dell’Arte Povera e della Land Art si ritrovano
nei suoi lavori passati, in cui non si limita a stabilire un contatto
circoscritto con ciò che propone (com’era stato per le bacchette di telescopi
in alluminio installati all’interno di un parco nel 2006), ma mette in
relazione la materia che affronta lo spazio in cui si manifesta, esasperando
delicatamente quegli aspetti ignari ma innati dei diversi elementi e materiali
con cui si misura. Non a caso, un semplice segmento di parquet viene sollevato
da terra mantenendo la sua forma di pavimentazione originaria, mentre tuttavia
appare innalzato come uno stendardo, sorretto da una semplice asta di legno (Untitled, 2007).
Non basta quindi soffermare l’attenzione al bianco della
Sala Elvetica, ma – come spesso accade per molti giovani artisti di questa
complessa arte contemporanea – è necessario spingersi oltre per capire,
ricercare, insomma, entrare nella concezione di opere che sfruttano sempre più
la soggettiva pulsione personale all’interno di una ricerca talvolta
ambientale, talvolta sociale.
articoli correlati
Intervista con Salvatore Lacagnina
flavia montecchi
mostra visitata il 30 ottobre 2009
dal
30 ottobre 2009 al 23 gennaio 2010
Kilian Rüthemann – Double
Rich
a cura di Salvatore Lacagnina
Istituto Svizzero – Villa Maraini
Via Ludovisi, 48 (zona via Veneto) – 00187 Roma
Orario: da lunedì a sabato ore 10-13 e 15-18; sabato ore 15.30-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 06420421; fax +39 0642042420; roma@istitutosvizzero.it; www.istitutosvizzero.it
[exibart]
Recensione da rispettare. Il giovane svizzero, anche lui, si contrare e si dimena nel cercare di sfiorare le chiavi della gabbia. Da queste mostre emerge chiaramente quanto il giovane-2009 sia tra due fuochi, tra l’incudine della storia e il martello del limite soggettivo. E’ chiaro che portare le cose al “primitivo” e alla massima sintesi permette di creare uno standard “passabile” che insieme all’istituzione svizzera creano una proposta sufficiente e comodante. Una normale amministrazione. Artisti più vicini ad impiegati di lusso o burocrati della creatività. Il fine è raggiungere uno standard accettabile e rassicurante (non importa quanto penetrabile per il pubblico). Se questa è veramente la dinamica dell’arte (ma non lo voglio credere) molto più interessante per i giovani reinterpretare settori più stimolanti e meno “burocratizzati”.