La storia lascia le tracce del proprio percorso evolutivo
prima sulla terra, segnandone i cambiamenti geofisici e politici, e poi con le
parole, riempiendo libri e reportage. L’uomo a sua volta è insieme fattore
agente e passivo di quel percorso, e l’artista ne è il portavoce espressivo. Non
a caso la Land Art investiva il concetto di evoluzione partendo dall’ambiente
e, modificandolo con interventi “artificiali”, interagiva con la storia del
territorio a tal punto da sfidare il concetto di entropia, portandolo
all’esasperazione.
William Cobbing (Londra, 1974) parte da quel concetto per investigare in
modo diretto e indiretto l’ambiente; ma la scelta territoriale non è casuale e,
oltre a lasciarsi influenzare dalla Land Art, Cobbing risente di due recenti
residenze che lo hanno portato a conoscere la terra di Bamiyan e il tratto
bellico che separa la Scozia dall’Inghilterra, il confine di Berwick. Due
luoghi distanti per cultura e posizione geografica, il primo porta con sé
l’avvenuta distruzione delle più rappresentative icone buddiste mai esistite in
territorio afgano, mentre il secondo risente del contenzioso che intimidiva una
legittimità di frontiera anglo-scozzese. Ora però Bamiyan e Berwick sono coinquiline
di uno spazio artistico che contiene le somiglianze storiche e concettuali
indagate dalla ricerca di Cobbing.
Nella serie
Bamiyan Mirror l’artista fotografa le due
nicchie vuote riflesse sulla superficie di uno specchio, che posiziona a terra
“
proprio per sottolineare la loro qualità di miraggio” (Rita Selvaggio). Sfruttando la
duplice funzione dell’immagine come forza visiva, Cobbing racchiude
l’importanza storica di quelle sagome in un riflesso artificiale, contenuto a
sua volta nella cornice fotografica di paesaggio, lo stesso da cui quelle
sagome provengono, seppur restituite agli occhi del fruitore in differita.
Influenzato dalla poetica di
Robert Smithson, Cobbing sembra voler ampliare
l’originaria concezione dei
Mirror Displacements subordinando lo specchio al mezzo
fotografico, ultimo possessore dell’immagine finale, unico apparecchio in grado
di restituirla nella sua forma completa: cioè seguendo la ricerca personale di
Cobbing.
A dividere la prima serie di lavori esposti per la mostra
Reversal, una campana a forma d’uomo
ricorda la sosia originale posizionata sul confine vicino Newcastle, mentre
rimbomba in maniera arbitraria introducendo la serie di video esposti
nell’ultima sala. Con
Moon Walker si passa il confine asiatico per approdare in Inghilterra,
in cui la desolata sabbia di Berwick diviene teatro di orme che camminano al
contrario.
In entrambe i video è l’artista che determina l’azione: i
suoi passi solcano la terra, ma invece di segnare il terreno sembrano non
sfiorarlo. E se il primo video inquadra con montaggi alteranti una camminata rettilinea
in cui il percorso viene cancellato, il secondo è un campo medio fisso dove una
spirale di passi è via via eliminata dalle scarpe dell’artista, che prosegue il
giro fino a ripulire il tratto di sabbia dall’impronta dell’uomo. Un gesto
atemporale per cancellare l’irreversibilità della storia.
Storia e consapevolezza maturano nella ricerca artistica
di Cobbing, tentando di misurarsi con il territorio di cui fanno parte, senza
manifestarsi in rivoluzioni ambientali temporanee da cui prendono spunto, ma
fermando il tempo della loro azione. Con il mezzo del video e quello
fotografico a fargli da testimone.
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titolo del video: Moon Walker