La struggente e suggestiva scenografia che la Gagosian Gallery di Roma presenta in ogni mostra, e a cui la città capitolina si è subito abituata, arriva a uno dei suoi apici con la personale dedicata ad
Anselm Kiefer (Donaueschingen, 1945; ; vive a Barjac).
Dopo la mostra di
Francesco Vezzoli, in cui tutta la galleria venne drappeggiata per lanciare un nuovo profumo che non sarà mai prodotto, lo spazio è occupato in quest’occasione da un vero e proprio giardino dei filosofi, nel quale otto pile di libri sovrapposti ricordano il peso, sia positivo che negativo, che la storia rappresenta per il presente. Così, con una forte seduzione dalla fenomenologia tedesca, soprattutto nelle sue ultime declinazioni, le possenti sculture rimangono incomprensibilmente in bilico, come se le pagine della storia e lo spettro del passato tornasse continuamente, richiamato per spiegare o analizzare le “vivenze” attuali. Ma senza la forza d’imporre strutture concettuali definitive, senza la capacità di cancellare i pregiudizi culturali di cui il presente non è sempre consapevole.
In mostra, lavori come
Paete, non dolet, ispirato all’antico mito di Arria e Petoo;
Sternenfall, una cascata di schegge di vetro sulle quali sono scritti i numeri corrispondenti alle varie stelle della galassia; e
VerunglĂĽckte Hoffnung, un esempio paradigmatico di uno dei temi ricorrenti nel lavoro del tedesco, quello delle grandi navi, ispirato direttamente al capolavoro di
Caspar David Friedrich,
Il naufragio della speranza.
Insieme alle sculture, la seconda sala ospita collage di grandi dimensioni elaborati su fotografie de
I Sette Palazzi Celesti (2005), una serie di monumentali torri in piombo e cemento realizzati all’Hangar Bicocca di Milano, simbolo dell’esperienza mistica nell’ascesa attraverso i sette livelli della spiritualità .
Così, l’allievo e amico di
Joseph Beuys si confronta, in maniera complessa e a tratti critica non solo con la storia tedesca recente e passata, ma anche con i miti eroici arcaici. Un lavoro in cui rimangono solo luoghi e zone irriconoscibili, macerie che “
rappresentano non solo la fine ma anche un inizio“. Paesaggi in cui gli esseri umani che hanno fatto quella storia spariscono completamente, parlando soltanto attraverso i risultati materiali e le responsabilità storiche, come se fossero stati risucchiati dal passato stesso.
Una poetica carica di rimandi simbolici, in linea del resto con tutta la sua ricerca fotografica, pittorica e scultorea, fatta di allusioni ermetiche e arcane, dei naturali sussulti dell’immaginario tedesco e wagneriano e di ricordi della storia tragica dell’olocausto e del nazismo.