Una progressione numerica in cui ogni cifra è il risultato della somma delle due precedenti è la chiave di lettura matematica sulla regolarità della natura; proporzionalità duecentesca legata al nome di Leonardo Fibonacci che, nel XIII secolo, aveva riconosciuto nella serie numerica il ritmico andamento biologico del mondo: la spirale hegeliana che porta avanti la triade dialettica dello Spirito, la vita.
Dopo Fibonacci e prima di Hegel,
Michelangelo vi aveva basato l’uomo vitruviano, poi
Dürer aveva inserito quella serie nel quadrato magico della sua
Melanconia e, giunti alla contemporaneità saltando il modernismo (che non è stato da meno), si arriva alla razionalità colorata di
Mario Merz (Milano, 1925 – Torino, 2003). In suo onore, a cinque anni dalla scomparsa, si contano alcune mostre memorabili: a Torino nel 2005 – fra Gam, Castello di Rivoli e Fondazione Merz -, alla Galleria Salvatore+Caroline Ala di Milano nel 2007 e, non ultima, alla Gladstone Gallery di New York lo scorso anno. Per il 2009 è infine giunto a Roma, e la grande area espositiva di Oredaria ne è la fiera espositrice.
Sono poco meno di trenta fra disegni e lavori su tela o plexiglas che introducono
L’asocialità è coscienza, la socialità è struttura, quella ricerca di “originarietà” nata dalle spirali, dagli animali primitivi, per raggiungere la citata serie di Fibonacci.
Un ciclo di disegni inediti costellano la parete della seconda sala: dita lunghe e affusolate in un’asimmetrica proporzione fisionomica seguono il numero uno, poi di nuovo l’uno, il due, il tre e poi il cinque, per proseguire nella ricerca matematica medievale della simmetria, del tutto che contiene il tutto.
La pratica pittorica di Merz è messa in luce sfoggiando quell’aspetto matematico/razionale racchiuso nella circolarità di un cono di pastello su carta, il cui centro nasce dal basso per evolversi verso l’estrema finitezza della cornice (
Senza titolo, s.d.).
Non sono però solo spirali o lucertole rigonfie di un andamento archetipico a dimostrare che la sua arte si basa sulla progressione numerica; la personale da Oredaria lascia un piccolissimo e inaspettato spazio alla ciclicità umana: con una sottile linea di pennarello a inchiostro, un
Senza titolo del ‘73 scontorna metà busto di un uomo, dallo stomaco in giù, sorprendendo nelle sue urine i numeri di Fibonacci ordinatamente zampillanti. “
Sono in espansione accelerata, è da essi che ho tratto l’idea che fosse possibile rappresentare con facoltà nuove tutti gli esempi che nel mondo si incontrano di materiali in espansione”, scriveva Merz nel 1979. “
I numeri sono dentro la natura. Il mio scopo è di fare dell’arte naturale con i numeri… in una mostra sono vivi, perché gli uomini sono come numeri in una serie. I numeri sono la vitalità del mondo”.
Ed è per questo che la serie dei disegni inediti raffigura mani, dita e linee che segnano la diagonale dinamica della vita, una simbolica crescita in evoluzione per cui nulla muore. Che siano poi esteticamente compiacenti o meno, le opere di Merz vivono della filosofica concezione hegeliana per cui tesi e antitesi danno vita a una sintesi, qui di numeri eterni e forme originarie di una ricerca primitiva. Una mondriana scomposizione della linea, a favore di una convulsione eterna in divenire.