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29
giugno 2010
fino al 23.VII.2010 Mutiny seemed a probability Roma, Fondazione Giuliani
roma
Un ammutinamento al potere autocratico della scultura. È quanto si documenta nella collettiva della fondazione. Materiali comuni che si assoggettano a un altro potere: quello dello spazio...
Situato nel pittoresco quartiere di Testaccio, un ex
deposito dell’Acea (l’azienda capitolina per la fornitura dell’acqua e
dell’elettricità) è stato radicalmente riordinato e trasformato nella sede
della neonata Fondazione Giuliani, figlia dell’omonima collezione. Che ha
aperto i battenti con una collettiva (di 17 artisti) dedicata a un’attenta
analisi del senso e del significato di “scultura”.
Definitivamente sfrangiati i netti confini, la mostra
vuole attestare come la pratica scultorea abbia intrapreso strade profondamente
diverse dal tradizionale concetto di scultura, con risultati che spesso hanno
frapposto distanze siderali dalla primigenia concezione e incarnando al
contempo l’idea di estrema fragilità peculiare dell’attuale epoca. Da qui la
visione di una sorta di ammutinamento che è espresso nel titolo Mutiny
seemed a probability
e che è inteso come volontà di mettere in discussione quella stessa visione.
Semplicemente perché da decenni, ormai, si assiste a continue lotte intestine
nelle diverse espressioni artistiche, che portano spesso a prepotenti
sconfinamenti.
Il duchampiano scolabottiglie nonché il violento taglio
della tela sono solo alcuni dei numerosi gesti “definitivi” di sovversione al
precostituito ordine. Sconfinamenti che ripetutamente si traducono in qualcosa
che è totalmente altro dal punto di partenza. Ma se generalmente le “statue”,
con un movimento centrifugo, abitavano autonomamente lo spazio assorbendolo,
altrettanto generalmente in molte “sculture”, con un movimento contrario, lo
spazio è elemento forgiante e basilare per la loro stessa esistenza. Andere
Bedingung (Aggregatzustand 5) di Alicja Kwade e Mass, Weight adn Volume (Falle into Place) di Simon Dybbroe Møller ne sono una chiara esemplificazione.
Altra ribellione all’ordine precostituito sono i materiali
che mai si poteva pensare avrebbero costituito delle “sculture”: i funambolici
scatoloni di cartone di Graham Hudson (The Allegory of Commodity), il popcorn di Alessandro Piangiamore (Popcorner) – che sottintende anche
l’aspetto performativo – e il magnete di Micol Assaël (Elecktron).
Le tre fotografie di grande formato di Leslie Hewitt sono invece il risultato (nonché
la controprova) di successivi passaggi “scultorei” (Untitled – Connecting, Hours,
Orizon Line). E passaggi
ancor più aleatori sono quelli del video Real Remnants of Fictive Wars, Part
II di Cyprien
Gaillard o degli
scatti di Jeff Wall (A Sapling Held by a Post) e Henrik Håkansson (The Starlings).
È indubbio lo sconfinamento nel campo dell’architettura da
parte di Oscar Tuazon (IT).
Hanno invece espliciti significati ideologici e politici il suggestivo lavoro
di Mona Hatoum
(Drowing Sorrows – wine bottles III) e quello “ironico” di Manfred Pernice (Untitled). Mentre una certa critica al
fagocitante sistema dell’arte è mossa Natasha Sadr Haghighian (I can’t work like this).
A latere della mostra, e per la prima volta in Italia, è
presentato anche il progetto e-flux video rental: un distributore gratuito di
circa 130 video d’arte.
deposito dell’Acea (l’azienda capitolina per la fornitura dell’acqua e
dell’elettricità) è stato radicalmente riordinato e trasformato nella sede
della neonata Fondazione Giuliani, figlia dell’omonima collezione. Che ha
aperto i battenti con una collettiva (di 17 artisti) dedicata a un’attenta
analisi del senso e del significato di “scultura”.
Definitivamente sfrangiati i netti confini, la mostra
vuole attestare come la pratica scultorea abbia intrapreso strade profondamente
diverse dal tradizionale concetto di scultura, con risultati che spesso hanno
frapposto distanze siderali dalla primigenia concezione e incarnando al
contempo l’idea di estrema fragilità peculiare dell’attuale epoca. Da qui la
visione di una sorta di ammutinamento che è espresso nel titolo Mutiny
seemed a probability
e che è inteso come volontà di mettere in discussione quella stessa visione.
Semplicemente perché da decenni, ormai, si assiste a continue lotte intestine
nelle diverse espressioni artistiche, che portano spesso a prepotenti
sconfinamenti.
Il duchampiano scolabottiglie nonché il violento taglio
della tela sono solo alcuni dei numerosi gesti “definitivi” di sovversione al
precostituito ordine. Sconfinamenti che ripetutamente si traducono in qualcosa
che è totalmente altro dal punto di partenza. Ma se generalmente le “statue”,
con un movimento centrifugo, abitavano autonomamente lo spazio assorbendolo,
altrettanto generalmente in molte “sculture”, con un movimento contrario, lo
spazio è elemento forgiante e basilare per la loro stessa esistenza. Andere
Bedingung (Aggregatzustand 5) di Alicja Kwade e Mass, Weight adn Volume (Falle into Place) di Simon Dybbroe Møller ne sono una chiara esemplificazione.
Altra ribellione all’ordine precostituito sono i materiali
che mai si poteva pensare avrebbero costituito delle “sculture”: i funambolici
scatoloni di cartone di Graham Hudson (The Allegory of Commodity), il popcorn di Alessandro Piangiamore (Popcorner) – che sottintende anche
l’aspetto performativo – e il magnete di Micol Assaël (Elecktron).
Le tre fotografie di grande formato di Leslie Hewitt sono invece il risultato (nonché
la controprova) di successivi passaggi “scultorei” (Untitled – Connecting, Hours,
Orizon Line). E passaggi
ancor più aleatori sono quelli del video Real Remnants of Fictive Wars, Part
II di Cyprien
Gaillard o degli
scatti di Jeff Wall (A Sapling Held by a Post) e Henrik Håkansson (The Starlings).
È indubbio lo sconfinamento nel campo dell’architettura da
parte di Oscar Tuazon (IT).
Hanno invece espliciti significati ideologici e politici il suggestivo lavoro
di Mona Hatoum
(Drowing Sorrows – wine bottles III) e quello “ironico” di Manfred Pernice (Untitled). Mentre una certa critica al
fagocitante sistema dell’arte è mossa Natasha Sadr Haghighian (I can’t work like this).
A latere della mostra, e per la prima volta in Italia, è
presentato anche il progetto e-flux video rental: un distributore gratuito di
circa 130 video d’arte.
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daniela trincia
mostra visitata l’11 maggio 2010
dal 9 maggio al 23 luglio 2010
Mutiny Seemed a Probability
a cura di Adrienne Drake
e-flux video rental
a cura di Frida Carazzato e Maria Garzia
Fondazione Giuliani per l’arte contemporanea – Via Gustavo Bianchi, 1 (zona
Testaccio) – 00154 Roma
Orario: da martedì a venerdì ore 15-19.30; sabato su appuntamento
Ingresso libero
Info:+39 0657301091 – info@fondazionegiuliani.org; www.fondazionegiuliani.org
[exibart]
per il progetto e-flux rental, i video d’arte gratuitamente distribuiti sono oltre 900, e non 130 come erroneamente indicato.
daniela trincia