In linea con l’assunto della manifestazione curata da
Ludovico Pratesi, questa nuova edizione di
Soltanto un quadro al massimo presenta il raffronto tra
un’opera di
Andreas Gursky (Lipsia, 1955; vive a Düsseldorf) e una di
Mimmo
Jodice (Napoli,
1934).
I due fotografi sono chiamati a esprimersi sul tema
dell’acqua, elemento in cui si mescolano da sempre atteggiamenti psicologici
opposti, in grado di celebrare il senso primordiale della vita o di evocare
l’oppressione di una morte ineluttabile. Da queste opposte tensioni traggono
origine le valenze simboliche di cui la mostra è testimone.
Da un lato della galleria campeggia una stampa a colori di
Gursky, discepolo dei
Becher e della scuola di Düsseldorf, in cui l’artista si avvale
– come di consueto – di un duplice registro espressivo: se a distanza
l’immagine sembra esaurirsi in una pura struttura formale, da vicino rivela
invece un complesso microcosmo narrativo.
Sulla parete opposta, Jodice presenta in un trittico uno
dei suoi lavori dedicati al paesaggio, sempre tradotto in un intenso bianco e
nero, in cui le suggestioni dell’informale e delle avanguardie convivono con la
tradizione paesaggistica della scuola napoletana.
Gursky mostra da una posizione sopraelevata le geometrie
di due piscine affollate e uno scorcio di campagna deserta, ma egualmente
antropizzata, secondo linee coerenti. L’uomo è fortemente presente, sia nella
sua forma fisica che nella sua azione trasformativa del paesaggio.
Jodice, nella sequenza di tre immagini, mostra invece un
orizzonte marino ripreso dalla spiaggia, collocando il punto di vista
all’altezza dell’occhio. Ed è questo l’unico accenno all’uomo, perché qui non
compare alcun individuo. Il mare è solo un deserto d’acqua in movimento, il
cielo solo una distesa di nubi minacciose. La rapida successione delle tre
riprese suggerisce lo scorrere lento del tempo.
Il visitatore si trova al centro d’una tensione emotiva:
se le piscine di Gursky evocano una geometria strutturata, immobile, in cui
l’acqua viene confinata e asservita all’uomo, il mare di Jodice rimanda al
contrario a uno spazio naturale, sconfinato, libero e in continua evoluzione,
in perenne movimento. E se le acque di Gursky appaiono confidenti e
ristoratrici per un’umanità che trova in esse l’occasione di una rituale
purificazione, come in un fiume sacro, il mare di Jodice si presenta misterioso,
oscuro, popolato di ansie e lusinghe che si nascondono sotto la sua opaca
superficie.
Tra le visioni che si confrontano sulle pareti della
galleria s’instaura, allora, un campo di forze in cui la nozione di acqua
oscilla fra la prerogativa di costituirsi quale elemento primigenio della vita
e il timore di connotarsi come potenziale strumento di naufragio e morte.