Nello spazio scenico della Galleria Borghese, ciò che
all’impatto visivo maggiormente disturba si rivela inattesa fonte di
suggestioni: i pesanti vetri che proteggono le opere di
Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992).
L’artista aveva escogitato di coprirle senza preoccuparsi che la visuale ne
fosse compromessa; anzi, voleva che la vita, “
nel senso più superficialmente
concreto e nella sua casualità, vi trascorresse sopra, per riflesso”, scrive Anna Coliva, curatrice
della mostrainsieme a MichaelPeppiatt.
Qui, a proiettarsi sui quadri, è la Galleria Borghese, i
suoi spazi carichi di storia, che per la prima volta ospitano i lavori di un
grande del Novecento. Ma anche, e soprattutto, è
Caravaggio (Milano (?), 1571 – Porto Ercole, Grosseto,
1610), esposto di fronte all’artista inglese in un ideale e complesso dialogo.
Ecco allora, in riflessi più o meno enfatici, tra vetro e colore, quattordici
grandi opere e ritratti del Merisi, dove la corporeità, riverberata, si
scompone e diventa organismo che, a sua volta, si dissolve fino a scomparire.
Un’illusione da specchio infedele.
Che
evidenzia, in un intreccio di metafore, come qualsiasi vertiginoso accostamento
fra i due geni della pittura, sia ascrivibile più alla sfera emotiva e
sensoriale che non all’intelletto. Del resto, la stessa Coliva, nel proporre il
connubio, ha dichiarato di non voler seguire ricostruzioni storico-critiche, ma
di “
cercare corrispondenze che emergano da sole alla
sensibilità dello spettatore”. Eccoci dunque dinanzi a un’esperienza
estetica.
Da un lato, luce e tenebra scolpiscono figure, esplodendo
sulla tela come apparizione simbolica o come
vis drammatica per intensificare
situazioni e gesti; dall’altra, angosciosa carnalità di corpi deformati,
imprigionati in una gabbia spaziale, si dibattono sotto la cruda luminosità da
sala operatoria. Se dal
Martirio di Sant’Orsola, la morte, coglie in un brivido di
sorpresa, da
Head VI si congela nell’urlo di un cadavere già putrefatto. Speranza di
redenzione, fede tragica dei grandi peccatori oltre la verità della carne nella
Resurrezione di Lazzaro. Di contro,
Tryptich August 1972, volontà di catturare la materia
nell’atto stesso della sua trasformazione: corsa verso il disfacimento e la
dissoluzione nel nulla. Ancora:
se Caravaggio si rappresenta in
una testa appena decapitata (
Davide con la testa di Golia),
identificandosi simbolicamente con il male, Bacon (in
Three Studies for a
Self Portrait)
costruisce il suo volto assemblando pezzi diversi,
privi di sintesi armonica, quale denuncia del processo di reintegrazione di
parti scisse del Sé.
Forse, tratto comune ai due artisti è la violenza
dell’espressione:
Giuditta che taglia la testa a Oloferne e
Studio per un ritratto di
Innocenzo X,
l’uno accanto all’altro, di sfondo lo spettacolare trittico dedicato a
Lucian
Freud. Scrive
MichaelPeppiatt: “
Bacon può essere paragonato a Caravaggio in
termini di intensità. Entrambi creavano situazioni estreme in cui la figura
umana è trasformata in un crocevia di emozioni”.