Hanno i colori densi e rugginosi della violenza calata nella dimensione onirica, le storie illustrate da Arturo Elizondo (Città del Messico, 1956; vive a New York). Venti pastelli intrisi di simboli e suggestioni, di straordinario impatto emotivo. Si ispirano -prendendone i titoli-, ai racconti brevi El llano en llamas (La pianura in fiamme), raccolta pubblicata nel 1953 da Juan Rulfo, esponente di spicco della corrente ispanoamericana del realismo magico. Con frasi brevi e immagini secche, l’autore descrive nelle sue pagine la “Cristera” (1926-1929), guerra civile messicana teatro di persecuzioni contro i cristiani, e denuncia lo stato di miseria del popolo, già vessato da una natura matrigna. “Il temporale arrivò all’improvviso, in grandi onde d’acqua… l’unica cosa che potemmo fare fu starcene attaccati sotto la tettoia, guardando come l’acqua fredda bruciava l’orzo giallo tagliato da così poco”. Desolante atmosfera evocata da Elizondo nei pastelli El Diluvio e Es que somos muy pobres. Nella crudezza dei tratti concisi dell’opera Macario, invece, si riconosce il caso di cronaca di “Chacina da Candelaria” (1993): brutale assassinio da parte della polizia militare, di otto adolescenti davanti alla porta di una chiesa.
Stilisticamente l’artista attinge ai pittori messicani della tradizione: Hermenegildo Bustos -attraverso Frida Kahlo– e José Guadalupe Posada (per le sue stampe popolari). Si rifà poi, all’arte dei muralisti (Orozco, Rivera, Siqueiros). In particolare, con José Clemente Orozco, l’artista condivide la visione di sofferente ineluttabilità dei conflitti, resa attraverso quei corpi feriti, colpiti, piagati, dolorosamente tragici.
Nei lavori in mostra peraltro, è rilevante l’innesto di elementi mitologici e simbolici delle culture pre-ispaniche.
La figura del dio giaguaro incombe, accompagnata da altri esseri zoomorfi, nelle opere Alicia sin paradiso e La Noche: nella mitologia Maya il felino riassume la grandezza del sole, la voce del tuono e la potenza della morte. E ancora nei quadri aleggiano presenze di radice Atzeca: Yum Kax, dio del mais -nell’iconografia sotto forma di decapitato-, Ek Chuah, dio della guerra associato allo scorpione, presente in Macario I e Macario II. E ancora Chicomecoatl, dea della fertilità e dei sacrifici umani, spesso rappresentata come una donna dagli abbracci mortiferi.
Ma sarebbe riduttivo ascrivere un artista complesso come Elizondo a retaggi artistici prettamente sudamericani. Non è solo la pittura tradizionale a influenzarlo. Legato alle lezioni del surrealismo e del dadaismo, fonde alle sue origini fattori di matrice diversa -tra passato e presente-, come lo studio del manierismo europeo e della fotografia vernacolare. E non è estraneo agli esiti della produzione artistica americana degli anni Ottanta di David Salle e Julian Schnabel.
Possiamo concludere con le parole del critico Christian Viveros-Faunè: “brillante sintetizzatore delle tradizioni, Elizondo ha mescolato le fonti riunendo dati storici, culture e mondi nelle sue immagini realizzate in tinte surrealiste, alla ricerca della propria identità”.
lori adragna
mostra visitata il 23 gennaio 2007
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