Giallo, rosso, blu, verde, nero, oro. Le stelle, il mondo, la croce. Nette, assolute, insindacabili: le bandiere. E su tutte una: la stars and stripes, il drappo a stelle e strisce degli Stati Uniti d’America. È americana, Lisa Wade (Washington D.C., 1972; vive in Italia), e sente tutto il peso di questo simbolo, così oneroso per lei, così problematico per il resto del mondo. Un simbolo spesso associato alla guerra, alla forza -anche economica-, all’imposizione di modelli e stili di vita. Un’icona del profitto ad ogni costo, della non sottoscrizione del protocollo di Kyoto, del machismo delle armi e delle conseguenti stragi nei college. Ecco, è tutto questo che Wade mette in evidenza. E lo fa con l’esplicita richiesta di poterlo non vedere mai più. Le sue sono bandiere della soffitta, dell’archivio dei ricordi, dei sentimenti, del dialogo, della saggezza dei più anziani. E soprattutto delle donne. Le stoffe pesanti damascate ma anche i ricami, i pizzi e le trine, disegnano pacati le geometrie di questi gonfaloni della dolcezza, della riflessione, della stasi. I colori sono neutri, rarefatti, spenti, tanto da sembrare polverosi. Un’antica saggezza che muove verso una neutralità del fare, una predilezione per il gesto semplice, non invasivo, quotidiano e domestico. Il mondo come una casa. Accogliente. E il suo stendardo fatto con metraggi di broccato color cipria.
Anche una scrittura oggi identificata come “nemica”, quella araba, viene riprodotta sul tessuto come se fossero arabeschi decorativi, leggeri e delicati. E un’altra immagine pugnace, quella della mimetica militare, trova il suo simula
valeria silvestri
mostra visitata il 2 maggio 2007
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Mi piace molto l'idea di rivisitare le bandiere , l'idea di farne qualcosa di diverso da un simbolo guerresco o comunque " assoluto ".
Ecco qualcosa di davvero geniale, finalmente !
se lo dici tu...