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In una sala del nuovo museo Maxxi le luci vibreranno quando in Italia un fulmine cadrà durante i temporali. Quest’opera è dedicata a tutti coloro che passando di lì penseranno al cielo”. Dopo l’installazione di
Massimo Bartolini sull’intera facciata,
Alberto Garutti (Galbiate, Como, 1948; vive a Milano) presenta, nell’unica sala pronta al primo piano, un intervento di luce site specific come secondo progetto del ciclo
Maxxi Dialoghi con la città, a cura di Laura Cherubini.
Mentre i lavori del cantiere sono ormai giunti alla fase conclusiva, è sempre più vicina e attesa l’inaugurazione ufficiale del museo capitolino, che pretende di “
delineare nuove modalità di presentazione dell’opera, mettendo a disposizione dell’artista uno spazio che offra la più ampia possibilità d’interazione col pubblico”, come spiega Anna Mattirolo.
Nel frattempo, in una coerente dichiarazione d’intenti, Garutti stabilisce un rapporto poetico, sentimentale e diretto col pubblico – che rimane incuriosito e perplesso lungo la strada di fronte alle grandi finestre – e un’empatia emotiva e delicata con il luogo, con l’urbanismo circostante.
Se a Bergamo, Gent e Istanbul le luci pulsavano lentamente ogni volta che nasceva un bambino, a Roma duecento lampade alogene, montate su treppiedi metallici e disposte secondo una sottile geometria – ma non è possibile vedere l’installazione dall’interno – iniziano a vibrare lentamente fino ad abbagliare, riverberando sulla strada, ogni volta che viene rilevata la caduta di un fulmine sul territorio nazionale.
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L’opera mette in relazione la prima sala agibile dell’edificio con i cieli di tutta l’Italia, tessendo una fitta trama di corrispondenze tra lo spazio interno dell’architettura ancora in costruzione e l’ambiente che la accoglierà”. In questo modo e in linea con la precedente produzione dell’artista lombardo, l’intervento – reso possibile dal collegamento con il Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano – offre una lettura fortemente univoca, che acquisisce però diversi registri e chiavi interpretative, realizzandosi pienamente solo nell’incontro con ogni singolo fruitore.
Così lo spettatore è trascinato in una spirale di curiosità, mentre l’impossibilità di valicare le porte del museo e l’emozione di sentire simbolicamente sulla propria pelle ogni fulmine invita a guardare il cielo. Mentre in silenzio si ascoltano le pulsazioni interne di un meccanismo che inizia a respirare.
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Ecco questo è un artista più giovane dei giovani. Che insegna a brera ai giovani. Ma insegna a giovani vecchi e impauriti. Tali studenti finiscono per fare lavori omologati e vecchi. Forse Garutti è un vampiro e ne succhia la gioventù,chissà.
Diciamo pure che è sempre la solita solfa e ci ha abbondantemente stancato. Sopravvalutato, ma tanto.
E poi questa storia del concettuale che non si capisce niente se non aggiungi le spiegazioni al lavoro... ma che senso ha?
Se uno non sa leggere il testo questo lavoro non lo può apprezzare?
E se lo può apprezzare lo stesso, allora che senso ha mettere la spiegazione?
Garutti forse pensa che siamo tutti subnormali e abbiamo bisogno del suo aiutino?
Umiltà, compenetrazione, riuscire ad ascoltare e non dire sempre e solo io io io io io io io.