Eppure, nonostante le attese, c’è evidente perplessità
circa i risultati. Le critiche si concentrano proprio su quelli che dovevano
rappresentare i punti di forza del festival. Iniziando dal titolo e dal soggetto:
il neologismo Futurspectives, ovvero “può la fotografia interpretare il futuro?”, che secondo alcuni ha
strangolato l’opportunità di Paul Wombell, curatore della sezione fotografia
e arte contemporanea,
di spaziare nel campo in modo innovativo. La mostra Bumpy ride, liquidata come “deprimente”, ben
rappresenta l’ansia e il senso d’instabilità serpeggianti nella società
odierna: la crisi economica, l’incertezza per il futuro del pianeta, la
sfiducia nelle capacità del processo politico di operare cambiamenti significativi.
Immaginare l’avvenire, “anche con una visione pessimista”, scrive Wombell, significa “cominciare
a pensarne uno diverso”. Ecco allora la serie di foto, surreale e provocatoria, di Ikka
Halso che sfida
l’interazione del pubblico con la natura ritraendola artefatta e in via di
estinzione, oppressa in angusti luoghi museali. Oppure le discusse immagini di Jill
Greenberg, nitide
e sature, realistiche e fantasiose. Potenti. Il malessere-denuncia, nello
stridore tra patinata bellezza formale e perpetuo tabù: i bambini ripresi nel
dolore.
Da segnalare, piuttosto, l’abbassamento eccessivo rispetto
agli anni scorsi di progetti realizzati ad hoc. Artisti già sperimentati e
lavori già visti, quando non stravisti (le ragazzine cinesi di O Zhang). Indubbiamente le questioni di
budget non saranno state secondarie.
Anche il passaggio nella nuova sede si è rivelato un
boomerang. La riduzione del circuito ha prosciugato la vitalità di una
manifestazione internazionale all’insegna dei nuovi talenti e patrimonio del
territorio capitolino. Le lungaggini burocratiche della transizione, poi, e il
derivante vuoto organizzativo e di coordinamento hanno pesato non poco sulla
riuscita del festival.
Anche un settore d’indubbio interesse e allestito con efficacia, come Fotografia
e New Media, è
apparso quindi scollegato da un progetto d’insieme sul “fare” fotografia oggi. Maps
and legends è una
sorta di mappatura in progress della “relazioni che la pratica fotografica
sta intessendo con il mondo della Rete, con la sua cultura, il suo linguaggio,
il suo immaginario”,
scrive Valentina Tanni. Dalle gif animate di Jaime Martinez, dense d’energia cromatica e
dinamicità, alle fotografie nei mondi virtuali; dalle immagini di Google
Street Views fino
alla macchina fotografica che ferma il tempo e non lo spazio. Nel lavoro di Carlo
Zanni, che
rinuncia quasi al movimento, montando singoli fotogrammi con lo stile di uno
slideshow, la tensione narrativa è sprigionata dalle inquadrature contaminate
dal web e dal commento sonoro. Lo scatto di Phillip Toledano, dove il formato dello slideshow
si fonde con
quello del photo-essay, fa parte di una serie che documenta la lotta del padre del fotografo
contro una malattia degenerativa. Commovente, ma non invasivo, affronta la
tristezza con delicato umorismo.
Nella sezione Unpublished – unknown legata all’editoria fotografica,
a cura di Marc Prust, le buone idee e i guizzi intriganti rimangono un abbozzo
frastornato e caotico, soffocato peraltro dall’allestimento disomogeneo.
Infine, Commissione su Roma presenta la street photography di
Tod Papageorge,
l’americano
capostipite della Scuola di Yale. Forse dallo stile un po’ datato, la serie di
scatti è però intrisa di luce caravaggesca, con scorci di alta drammaticità del
quotidiano. Frenesia, instabilità, tutto si mischia e si sovrappone – monumenti
e persone, religione e consumismo, passato e presente – proprio come nella vita
contemporanea.
Il
futuro della fotografia
lori adragna
mostra visitata il 23 settembre
2010
dal 23 settembre al 24
ottobre 2010
FotoGrafia
Roma 2010 – Futurspectives
direzione
artistica: Marco Delogu
a cura di Marc
Prust, Valentina Tanni e Paul Wombell
Macro
Testaccio
Piazza Orazio
Giustiniani, 4 (zona Testaccio) – 00153 Roma
Orario: da
martedì a domenica ore 16-24
Ingresso:
intero € 4,50; ridotto €3
Info: www.fotografiafestival.it
[exibart]
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la recensione, nonostante articoli abbastanza bene le sue motivazioni, mi sembra un voler sparare a zero comunque, criticare per criticare. quest'edizione del festival, proprio a causa delle ben note motivazioni (burocratiche, di budget, ecc. ecc., in poche parole il male italiano inspecie romano), il festival è riuscito a vedere la luce, anche con lavori di una certa qualità. è indubbio che alcuni lavori sembrano cose note e viste, ma la differenza sta proprio nella diversa interpretazione e realizzazione. l'idea di ricondurre tutto in una sede, se da un lato può essere vito come un restringimento, dall'altro, almeno ai fini organizzativi, permette di concentrare le forze e limitare il dispendio di energie: una sola cosa è sicuramente meglio di tante piccole cose sparse. alcuni lavori risultano invece freschi e altri hanno un taglio molto intimistico: caratteristiche che sono la base per una visione ottimistica del futuro.
Tengo a precisare che parte delle critiche di cui parlo nel mio pezzo e che come si evince in buona misura condivido, registrano umori e impressioni di addetti ai lavori. Tra i tanti, i fotografi: Silvia Castro, Carlos Oliveira, Ludovico Barbieri di Press News e Maurizio G. De Bonis di CultFrame.