Samuel Fosso (1962, Kumba, Camerun) aveva 13 anni quando nel 1975 apriva a Bangui (capitale della Repubblica Centrafricana) il suo studio fotografico, con la promessa di rendere sempre belli i suoi clienti. Avec Studio National vous serez beau, chic, delicat et facile à reconnaitre, recita accattivante la scritta sul bancone, nella foto in cui giovanissimo si ritrae accanto ad un campionario del suo lavoro.
A scoprire il suo talento nel 1993 fu Bernard Descamps, durante il giro ricognitivo dei fotografi africani per la prima edizione dei Rencontres Africaines de la Photographie (Bamako 1994).
Dopodiché le sue foto hanno cominciato a girare all’estero, soprattutto a Parigi e Londra, proprio negli anni in cui il fashion iniziava a guardare insistentemente agli anni Settanta. Perciò quei dettagli di moda, che si intravedono in tante immagini di Fosso hanno trovato assenso nelle tendenze.
In Italia il lavoro di Samuel Fosso è arrivato solo dieci anni dopo, con la personale del 2004 (Calcografia di Roma e Scavi Scaligeri di Verona) curata da Francesca Maria Bonetti e Guido Schlinkert, quest’ultimo –oggi gallerista- riporta il fotografo a Roma. Lo scatto simbolo della mostra? Le chef qui a vendu l’Afrique aux colons. In questa immagine coloratissima, in cui la quinta scenica è un assemblaggio di tessuti wax printed, l’autore si rappresenta come un capovillaggio: seduto su una poltroncina leopardata, con un mazzo di finti girasoli in mano, gli occhiali scuri che celano lo sguardo, i vistosi monili african style, ha i piedi scalzi ma poggiati accanto a lui c’è un paio di mocassini rossi. E’ in atto un travestimento, più ironico che celebrativo, in cui convivono realtà opposte: da una parte c’è l’Africa, dall’altra l’Occidente.
Gli autoritratti del primo periodo (1975-80), anch’essi presenti in mostra, sono molto diversi. La location è sempre un angolo del suo studio, con la complice presenza di oggetti del quotidiano: una sedia di vimini, una rete metallica, fiori di plastica, la sagoma dei riflettori costruiti da lui con le bacinelle, i guanti bianchi… Raramente Fosso guarda dritto verso l’obiettivo, piuttosto il suo sguardo è rivolto verso il basso. Alcune volte è vestito solo con un paio di slip bianchi che contrastano con il corpo scuro. Queste immagini rappresentano per il giovane fotografo il diversivo per scacciare la noia, per passare il tempo libero quando il lavoro per i clienti era stato eseguito. C’è anche una grande malinconia -come sottolinea Schlinkert- perché in quegli anni Bangui era sconvolta dalla dittatura dell’imperatore Bokassa, che aveva imposto il coprifuoco e diffuso il terrore.
Oggi non c’è più il dittatore al potere, ma la situazione politica è ancora molto incerta. Malgrado l’atmosfera sia particolarmente cupa, Fosso si ostina a voler vivere nella sua città. Dopo i viaggi per l’organizzazione di mostre internazionali (attualmente è a Sydney dedicata all’autoritratto) è sempre a Bangui che torna, dove c’è ad attenderlo il suo studio e la sua moglie nigeriana.
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