Artisti dai nomi esotici, evocanti mondi lontani:
Lostfish,
Benjamin Lacombe,
Kmye Chan e
Consuelo Mura. Lo spazio curato fin nei minimi dettagli della Dorothy Circus Gallery accoglie questi quattro alfieri del Pop Surrealism, movimento figlio dei nostri anni in cui si mescolano, non senza inquietudine, la cultura manga giapponese, i cartoon all’americana, la precisione di
Leonardo e la visionarietà di
Dalí. In un meccanismo che tutto fagocita, pronto a risputare il prodotto del nostro immaginario, tanto più distorto quanto più è variegata la fonte.
Qui si tratta dell’amore: un amore borderline, appunto, sul filo del rasoio, fra le lolite insanguinate e le bambine cattive di Lostfish e l’Alice perversa di Lacombe. Ma anche l’amore di mostri perduti per delicate fanciulle di Kmye Chan e quello flessuosamente erotico di Consuelo Mura, che parte dai dettagli. I dettagli, appunto: sconcertante è la cura per il particolare che traspare da ogni sua singola opera, quasi che il mondo altro perfettamente ricostruito dall’artista si potesse sgretolare se venisse meno quest’esasperante minuziosità.
Gli occhi vacui di un’Alice che ha perso l’infanzia, i tratti raffinati di ispirazione manga, ma con quel tocco tutto europeo, i fondi incredibilmente piatti a guazzo: tutto nei lavori di Lacombe concorre alla costruzione di un mondo fiabesco, che non si preoccupa di fare il verso alle fantasie disinibite che viviamo nel nostro intimo, troppo sconvenienti per esser rivelate.
Al contrario, le grandi tele di Mura rivelano senza timore una femminilità spregiudicata, fatta di tacchi 12 su gambe impossibili, latex, stivaloni da dominatrix, corpi bianchissimi, più suggeriti che esibiti, e labbra carminio. Sembra che, di volta in volta, siano gli accessori a “fare” la donna, seguendo un po’ l’idea che la moda è un travestimento, un modo per esprimere noi stessi, ma anche un espediente per celarsi dietro un personaggio (guarda caso, i volti di queste “femmine” irraggiungibili sono tagliati dalla tela). Quindi bianco, nero, rosso, accentuati dalla tecnica iperrealista, presentano in un colpo solo il campionario delle ossessioni erotiche, in un ambiente reso un po’ boudoir e baroccheggiante.
Un’altra direzione ancora è quella intrapresa da Lostfish e Kmye Chan, accomunate da un percorso di illustratrici che lega le loro opere, elaborate grazie a una tecnologia 3d per la prima ed eseguite a tecnica mista su carta per la seconda. Il loro fare è più lieve e infantile, estremamente accurato, quasi inseguendo l’idea di un amore più tradizionalmente romantico, indissolubile tra congiunti anche se non coniugati, come il
fil rouge che lega a doppio filo due ragazze dal corpo acerbo, pre-adolescenziale.
Il sentimento generato nel visitatore è un misto di languore e scandalo, proprio quello che crediamo sia l’obiettivo degli artisti in mostra; un incantamento magnetico da cui, se si vuole, ci si può in parte liberare curiosando nello shop che occupa una parte della galleria, dove sono in vendita stampe (tra gli autori:
Nicoletta Ceccoli,
Tara Mc Pherson e
Mark Ryden), toy in resina, libri rigorosamente a tema Surrealismo Pop e molto altro. Un modo semplice e diretto per creare un contatto con ciò che si è appena visto, così da non perdere per strada quella curiosità perversa che ci ha spinti a entrare.
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galleria finta.brutta mostra. come la precedente artisti finti mostre brutte,
realtà finte scelta pessima di artisti...andy
zoe lacchei. mura. dell'osso.idili.ceccoli..
non esiste una realtà più fasulla di questa
che schiffo
GALLERIA DDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDD AH AH AH AH BRUTTA MOSTRA