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15
marzo 2010
fino al 25.IV.2010 Stephen Shore Roma, Museo di Roma in Trastevere
roma
La sospensione del momento. Il tutto e il niente. La banalità del quotidiano, in cui il punto focale di fotografo e spettatore coincidono. Un grande fotografo finalmente a Roma...
Organizzata
dalla newyorchese Aperture Foundation, approda al Museo di Roma in Trastevere
la mostra Biographical Landscape. Fotografie di Stephen Shore 1969-1979. Tappa di un circuito internazionale,
l’esposizione curata da Stephan Schmidt-Wulffen ripercorre – attraverso oltre
160 immagini tra fotografie e cartoline – i tre momenti più importanti della
carriera artistica di Stephen Shore
(New York, 1947).
Personaggio chiave della storia della fotografia
contemporanea, Shore aveva solo 14 anni quando Edward Steichen acquistò alcune sue immagini per la collezione del
Museum of Modern Art di New York, lo stesso museo avrebbe ospitato nel 1971 una
delle sue mostre più importanti: la prima dedicata a un fotografo vivente.
Una passione, quella per l’arte fotografica,
cresciuta con lui: era solo un bambino quando iniziava a praticare la camera
oscura, sviluppando e stampando negativi dell’album di famiglia. A nove anni,
nel ’56, ricevette la sua prima macchina fotografica 35 mm e a undici una copia
del libro di Walker Evans, American
Photographs. Era un amico di
famiglia, poi, Lee Lockwood, l’editore della rivista Contemporary
Photographer, dove ebbe modo di
conoscere il lavoro di Lee Friedlander e Duane Michals.
Sicuramente, però, l’esperienza che influenzò il
suo sguardo in maniera determinante – come si può vedere dalle fotografie in
mostra – fu quella della Factory di Andy Warhol, che Shore frequentò tra il ’65 e il ’67. Il suo
approccio fu inizialmente fotogiornalistico. Documentava ciò che vedeva. Ma di
giorno in giorno il processo andava nutrendosi di altre componenti. A partire
dal modo di lavorare dell’artista: “Andy era molto comunicativo e aperto”, racconta il fotografo nell’intervista con Lynne
Tillman pubblicata in catalogo. “Spesso chiedeva alla gente: ‘Cosa ne pensi
di questo colore?’ oppure ‘La testa della mucca dovrebbe essere di questa
grandezza o un po’ più piccola?’. Penso che facesse così perché gli piaceva che
l’energia della gente girasse vorticosamente intorno a lui. Aiutava il suo
lavoro”.
I riferimenti alla cultura pop – senza però la
componente ironica – sono espliciti, in particolare nelle grandi fotografie a
colori di Uncommon places
(‘74-’76): non solo quando l’autore mette l’obiettivo del suo banco ottico
davanti a un hamburger morso, accanto a una confezione di chips o sul tavolo di
una caffetteria, davanti a una porzione di pancake e a un melone tagliato a
metà, anche quando si sofferma sulle scritte pubblicitarie o su un angolo di
strada.
È il non evento a catturare la sua attenzione, durante
i numerosi viaggi attraverso il Nord America. Shore fotografa interni ed
esterni nella loro quotidiana banalità. Dei luoghi appunta con grande
precisione i dati, che diventano il titolo stesso delle opere: che sia la
stanza n. 12 dell’Harbor View Motel di Kenora (Ontario), la Cedar Springs Road
di Dallas dove il 5 giugno 1976 fotografa la scritta “John F. Kennedy said:
‘Art is Truth’”, oppure il volto di Estelle Marsh (18 agosto 1973).
Intensa
e carica di ulteriori rimandi, West Third Street, Parkersburg, West
Virginia, May 16, 1974 inquadra
una porzione di vetrina con diversi modelli di lampadine. Un’immagine poetica
in cui il fotografo si lascia affascinare dal soggetto della vetrina (come
prima di lui i vari Atget,
Evans, Fiedlander…). Del resto, come disse John Szarkowski nel catalogo della
mostra Mirrors and Windows: “La
fotografia è una vetrina”.
dalla newyorchese Aperture Foundation, approda al Museo di Roma in Trastevere
la mostra Biographical Landscape. Fotografie di Stephen Shore 1969-1979. Tappa di un circuito internazionale,
l’esposizione curata da Stephan Schmidt-Wulffen ripercorre – attraverso oltre
160 immagini tra fotografie e cartoline – i tre momenti più importanti della
carriera artistica di Stephen Shore
(New York, 1947).
Personaggio chiave della storia della fotografia
contemporanea, Shore aveva solo 14 anni quando Edward Steichen acquistò alcune sue immagini per la collezione del
Museum of Modern Art di New York, lo stesso museo avrebbe ospitato nel 1971 una
delle sue mostre più importanti: la prima dedicata a un fotografo vivente.
Una passione, quella per l’arte fotografica,
cresciuta con lui: era solo un bambino quando iniziava a praticare la camera
oscura, sviluppando e stampando negativi dell’album di famiglia. A nove anni,
nel ’56, ricevette la sua prima macchina fotografica 35 mm e a undici una copia
del libro di Walker Evans, American
Photographs. Era un amico di
famiglia, poi, Lee Lockwood, l’editore della rivista Contemporary
Photographer, dove ebbe modo di
conoscere il lavoro di Lee Friedlander e Duane Michals.
Sicuramente, però, l’esperienza che influenzò il
suo sguardo in maniera determinante – come si può vedere dalle fotografie in
mostra – fu quella della Factory di Andy Warhol, che Shore frequentò tra il ’65 e il ’67. Il suo
approccio fu inizialmente fotogiornalistico. Documentava ciò che vedeva. Ma di
giorno in giorno il processo andava nutrendosi di altre componenti. A partire
dal modo di lavorare dell’artista: “Andy era molto comunicativo e aperto”, racconta il fotografo nell’intervista con Lynne
Tillman pubblicata in catalogo. “Spesso chiedeva alla gente: ‘Cosa ne pensi
di questo colore?’ oppure ‘La testa della mucca dovrebbe essere di questa
grandezza o un po’ più piccola?’. Penso che facesse così perché gli piaceva che
l’energia della gente girasse vorticosamente intorno a lui. Aiutava il suo
lavoro”.
I riferimenti alla cultura pop – senza però la
componente ironica – sono espliciti, in particolare nelle grandi fotografie a
colori di Uncommon places
(‘74-’76): non solo quando l’autore mette l’obiettivo del suo banco ottico
davanti a un hamburger morso, accanto a una confezione di chips o sul tavolo di
una caffetteria, davanti a una porzione di pancake e a un melone tagliato a
metà, anche quando si sofferma sulle scritte pubblicitarie o su un angolo di
strada.
È il non evento a catturare la sua attenzione, durante
i numerosi viaggi attraverso il Nord America. Shore fotografa interni ed
esterni nella loro quotidiana banalità. Dei luoghi appunta con grande
precisione i dati, che diventano il titolo stesso delle opere: che sia la
stanza n. 12 dell’Harbor View Motel di Kenora (Ontario), la Cedar Springs Road
di Dallas dove il 5 giugno 1976 fotografa la scritta “John F. Kennedy said:
‘Art is Truth’”, oppure il volto di Estelle Marsh (18 agosto 1973).
Intensa
e carica di ulteriori rimandi, West Third Street, Parkersburg, West
Virginia, May 16, 1974 inquadra
una porzione di vetrina con diversi modelli di lampadine. Un’immagine poetica
in cui il fotografo si lascia affascinare dal soggetto della vetrina (come
prima di lui i vari Atget,
Evans, Fiedlander…). Del resto, come disse John Szarkowski nel catalogo della
mostra Mirrors and Windows: “La
fotografia è una vetrina”.
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visitata il 25 febbraio 2010
dal 25 febbraio al 25 aprile 2010
Stephen Shore –
Biographical landscape. Fotografie 1969-1979
a
cura di Stephan Schmidt-Wulffen
Museo
di Roma in Trastevere
Piazza di Sant’Egidio, 1/b (zona
Trastevere) – 00153 Roma
Orario: da martedì a domenica ore
10-20 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Ingresso: intero € 5,50; ridotto € 4
Catalogo Aperture Foundation
Info: tel. +39
065816563; fax +39 065884165; museodiroma.trastevere@comune.roma.it; www.museodiromaintrastevere.it
[exibart]