Nell’ampio salone
sotterraneo dell’Istituto Svizzero, la mostra di Piero Golia e Fabian Marti
s’inserisce con una presenza di cui il meno che si possa dire è la prepotenza che
esercita sul visitatore, mentre per il piĂą viene da considerare soprattutto una
difficoltĂ di combinazione tra due ricerche artistiche assai lontane fra loro e
che è stata risolta abbastanza felicemente, sulla base però di assunti critici
piuttosto discutibili.
Ma andiamo con ordine,
dando per prima cosa conto dell’allestimento: una struttura di compensato
chiaro che si snoda nello spazio in forme spigolose e ingombranti, tentate dal
farsi ora torre ora piedistallo per i lavori di diversa fattura presentati da
Fabian
Marti (Friburgo, 1979; vive a Zurigo).
Si tratta di ceramiche grezzamente lavorate e poster realizzati prendendo
spunto da un immaginario scolorito di rovine, elaborato a partire da fonti
fotografiche diverse: piĂą che nei singoli elementi, il maggior interesse
dell’operazione risiede comunque nella realizzazione di un’esposizione per così
dire monumentale, esuberantemente sovradimensionata, di opere chiaramente
riconducibili a un’estetica del frammento e del detrito.
Nel rivolto di questa
monumentalitĂ risiede, dal canto suo, la presenza di
Piero Golia (Napoli, 1974; vive a Los Angeles), il quale ha
utilizzato lo spazio interno della struttura in compensato per creare un
labirinto espositivo dove colloca opere altrettanto frammentarie e residuali,
da raggiungere con notevole disagio (va bene, l’opera è in realtà tutto
l’insieme e non le singole stazioni, ma il disagio resta tale).
I cunicoli in compensato,
internamente mal tagliati, vanno infatti percorsi a carponi, strisciando in
spazi ristretti, bui e polverosi, che mettono a dura prova la pazienza anche di
chi non soffra particolarmente di claustrofobia. Di tanto in tanto si verifica
l’epifania di una palla da biliardo o di una collana composta di stelle
sottratte al cofano di una nota automobile tedesca, e via quindi verso altre
avventure.
Ora, al netto del fastidio
provato dal vostro pur smilzo osservatore nel risalire il percorso, la
perplessità è amplificata dal richiamo contenuto nel testo di presentazione a
intenti culturali a dir poco roboanti dell’intera operazione, dalla “
critica
al sistema” (quale?) all’“
importanza
della resistenza come fatto storico e come atteggiamento intellettuale” (mah).
Vero, uno degli spunti piĂą
significativi ricavabili dall’arte corrente, così come condensata nell’ultima Biennale
veneziana, sta nel richiamo esplicito a una rinnovata volontĂ /velleitĂ
dell’arte di “
fare mondi”, e in
questo senso si può pensare che i due artisti coinvolti nella mostra
dell’Istituto Svizzero a modo loro siano riusciti nel definire un mondo
espositivo compiuto, sgarrupato e decadente.
Ma proprio la precaria confusione
che caratterizza il loro incontro indurrebbe a mantenere piĂą miti consigli
critici al riguardo.
Visualizza commenti
il piccoli cattelan ci prova e si dimena mnon riesce...peccato
..Seppur ci sia ancora qualcosa da migliorare, vedo che la costanza di Luca rossi comincia a dare i primi frutti: non ho visto la mostra si! , ma la critica mi è sembrata abbastanza equilibrata.
Forza Rossi spingi sul gas che forse qualcosa sta cambiando, almeno qui. Ah, Golia?