La Reale Accademia di Spagna, fondata nel 1873 dal politico e intellettuale Emilio Castelar e con sede nell’antico convento francescano di San Pietro in Montorio, propone un avvenente omaggio a uno fra i più noti artisti spagnoli del Novecento,
Joan Miró (Barcellona, 1893 – Palma de Majorca, 1983), per festeggiare i primi centotrentacinque anni di attività a Roma.
In mostra ventisei acqueforti e acquetinte realizzate tra il ‘69 e il ‘78 e quattro sculture in bronzo della prima metà degli anni ‘70 -tutte provenienti dalla Fondazione Joan Miró di Barcellona- che evidenziano l’irrefrenabile desiderio di sperimentazione e l’istintività dell’artista catalano, soprattutto in lavori come
Il cieco tra gli uccelli, dov’è presente l’incisione al
carborundum, materia granulosa che, posta sulla lastra di rame, aumenta l’aggressività e l’immediatezza del risultato finale.
I lavori presentati nelle sale dell’Accademia inscenano tutti i simboli del linguaggio mironiano. Luce, colore e natura, immaginazione inaudita, la notte, densa di stelle e pianeti affusolati, il legame atavico dell’uomo con la terra, appena abbozzata da colori accesi, forme e figure antropomorfe e grandi occhi asimmetrici racchiusi tra convinti segni neri, che compongono un’originale “galleria di antiritratti”.
Se nei primi lavori, realizzati soprattutto durante la permanenza a Parigi, un realismo trasformato dall’accentuazione o dall’aggiunta di numerosi dettagli conferivano
un aspetto quasi allucinatorio alle immagini, la maturità lo porterà a concretizzare una nitida semplificazione di elementi. Un evidente esempio è rappresentato da
Galatea (1976), in cui si constata l’incontrollabile libertà espressiva, che si congiunge con un rigore compositivo ineccepibile, in linea con la gestualità controllata che caratterizza le pitture di Miró degli ultimi anni ‘70.
Così, se il surrealismo poneva al centro dell’attenzione non la realtà ma ciò che si nasconde al suo interno, cioè quello che non è visibile perché non è stato portato a livello conscio, nelle tre sale espositive, strutturate intorno a un suggestivo chiostro cinquecentesco, si sviluppa un percorso che trascura volutamente qualunque logica museale.
Nessun ordine strettamente cronologico, nessuna disposizione precisa per tematica o armonia, nessun equilibrio, nessuna disciplina, nessun criterio stabilito. Componendo, in questo senso, una realtà dove si esprimono liberamente il codice simbolico, le associazioni, le analogie e le correlazioni caratteristiche della categoria cognitiva ipotizzata da Freud e Jung, l’inconscio, e dove ognuno è invitato a percepire una personale realtà, non immediatamente visibile, per scoprire il livello più profondo del proprio essere.