Nucleo importante di questa settima edizione di FotoGrafia Festival, il Palazzo delle Esposizioni ospita una selezione delle 143 mostre e degli oltre trenta eventi sparsi nelle cento location romane. Un’agenda ricca di appuntamenti, dunque, per raccontare il quotidiano, per vedere la normalità. Un tema solo apparentemente semplice e tutt’altro che banale, visto che il concetto di normalità non esiste o, meglio, è del tutto soggettivo. Proprio come la fotografia. Ancor più arbitrario, poi, è raccontare il quotidiano. Nella rinnovata sede del PalaExpo si spazia dai colli mozzati dei tacchini di Nimcova al bambino che salta col telo di plastica al collo di Purchas.
Ad accogliere il visitatore è la collettiva
Roma. Si scoprono così, dietro ai gadget di un banchetto, nuove prospettive per ammirare gli ordini del Colosseo. Tra cappellini, magliette e bandiere dell’Italia, busti di imperatori e -perché no?- un paio di Torri di Pisa e una sfilza di maschere veneziane. D’altronde, si sa, Roma è caput mundi e
Raffaela Mariniello l’ha vista così. Più quotidiana che mai è la visione di
Claudia Jaguaribe, che fotografa la città eterna dall’interno di autobus in corsa tra le luci riflesse del traffico di via dei Fori Imperiali. C’è poi chi la vede da dietro la finestra di casa, come l’uomo ritratto da
Paolo Ventura in una foto molto più vicina a un quadro che a uno scatto.
Così, a colpi di click, si passa dalla collettiva alla personale di
Gabriele Basilico, che sorprende Roma inseguendola tra le anse del Tevere.
A cambiare registro ci pensa la slovacca
Lucia Nimcova, che con sapiente cura del dettaglio allestisce una sala a prova di bacio: una parete colma di foto più e meno recenti o d’archivio fa da cornice al video centrale. Mentre lo sguardo passa da uno scatto a un fotogramma di
Unofficial -prima personale in Italia dell’artista- capita di ascoltare
Kiss di Prince in sottofondo. Cuffie in testa e pronti a guardare un altro video che, tra baci e abbracci, scopre lo sguardo consapevole di chi, seppur giovane, sa raccontare la storia complessa di un Paese dell’Europa dell’Est.
Leonie Purchas si concentra invece da alcuni anni sulle famiglie, frugando
In the shadow of things. Oggetti d’uso quotidiano sparsi dappertutto, in una metafora continua alla ricerca dell’intimità nascosta in fondo ai cassetti.
Il reportage di
Paolo Woods, condotto insieme al giornalista Serge Michel, racconta le vite di moltissimi cinesi che si sono trasferiti in Africa “
per costruire, produrre e investire in una terra che l’occidente giudica ormai buona solo a ricevere aiuti umanitari”. Storie di persone che hanno visto nel continente africano una sorta di Far West del XXI secolo.
Chi poi vuol sbirciare l’ultima frontiera del libro fotografico può fare un salto al piano interrato per vedere
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