Seppur acquisiti solo nel 2008, i lavori di
Ettore
Spalletti (Cappelle sul Tavo, Pescara, 1940) entrano
finalmente nella collezione della Gnam, sopperendo a una seria lacuna.
Un’assenza protratta troppo a lungo, ma che almeno ha avuto il merito di
offrire la possibilità d’individuare opere che testimoniano, e in qualche
maniera tracciano, il percorso dell’artista abruzzese.
Quale occasione migliore per rendergli omaggio, allora, se
non la quinta edizione della
Giornata del Contemporaneo promossa il 3 ottobre dall’Amaci?
Le opere sono state presentate con un allestimento pensato
ad hoc dall’artista stesso, che anima lo
spazio con un’inedita installazione, sintesi perfetta del suo lavoro. Nello
stesso ambiente si è così a contatto contemporaneamente con tre momenti
rilevanti della sua ricerca artistica, da quella degli esordi (
Senza titolo, 1974, esposta nella galleria di
Plinio de Martiis nel ’75) a quella attuale (
Nostalgia, Roma, 2009), passando per la tappa
intermedia del 1997 (
Terra bianca).
Ma si possono notare pure le costanti del suo lavoro, che
ne sono la sigla inconfondibile e inequivocabile: il colore e lo spazio, che
concorrono a una delicata ma determinata sollecitazione dei sensi.
Attraverso
un corposo impasto di gesso e pigmenti di colore, Spalletti crea infatti uno
spessore che conferisce tridimensionalità alle superfici pittoriche.
Un amalgama di colore lasciato riposare e asciugare che,
in seguito, è abraso e levigato, sicché i pigmenti si rompono e si
distribuiscono liberi sulla superficie, creando un effetto pulviscolare e
incipriato. Un colore materico, che si espande nello spazio antistante,
fuoriuscendo dalla tela, e che si pone in bilico sul delicato confine tra pittura
e scultura.
Caratteristiche che si ritrovano tutte nell’opera del ’74,
ov’è rintracciabile anche un’altra costante, il colore celeste, caro
all’artista perché è quello che ci circonda e nel quale siamo quotidianamente
immersi.
La particolare attenzione allo spazio, alla sua
manipolazione e alla relazione delle opere con l’ambiente circostante genera
originali soluzioni, espresse nel lavoro più maturo del ’97. Una sorta di
dittico formato da due tavole non perfettamente accostate tra loro e leggermente
discoste dalla parete, col bordo superiore smussato campito d’oro, che si
integra con lo spazio prospiciente.
La perfetta sintesi è nell’installazione
site specific intitolata
Nostalgia, Roma. Otto colonne, che rientrano
nell’uso di determinate forme geometriche da parte di Spalletti, si
distribuiscono nel salone, creando una serie di rimandi: al passato
dell’artista, che ha visto sin da giovane questo stesso salone come il luogo
d’eccellenza per l’arte (e il numero otto ha casualmente richiamato il numero
delle colonne nella facciata del museo); alla storia della Capitale,
testimoniata ovunque dalle sue imponenti e mutili vestigia.