L’evoluzione della pratica video in Slovacchia, a partire dagli anni ‘60 a oggi, sembra aver seguito rigorosamente gli eventi storico-politici del Paese. Se agli albori gli artisti sperimentano il mezzo secondo un’ottica di ricerca e sperimentazione che accomuna quasi tutte le avanguardie post-belliche europee, nel clima di euforia e curiosità che la telecamera e i suoi prodigi dimostrano, la censura e la repressione seguite al Patto di Varsavia nella ex Cecoslovacchia determinano un momento di congelamento nel panorama artistico ufficiale, con brevi e sporadici episodi di elaborazione video al di fuori di tale contesto.
Alcuni esempi sono i lavori di
Vladimir Havrilla,
Lift (1974), che ritrae due donne mentre si spostano levitando sulle strisce bianche di un campo da gioco come antinomiche linee di forza, coadiuvate dalle manipolazioni del video, e quello di
Lubomir Durcek, che pone sotto gli occhi della telecamera le mani tese di varie persone bendate mentre sembrano cercarsi e scrutarsi, in uno scambio d’informazioni reso solo dal contatto fisico, superando tutte le barriere sociali che l’etichetta impone.
Dopo il silenzio che accompagna la dittatura, nuovo impulso scaturisce in seguito alla “rivoluzione” del 1989. Agli anni ‘90 appartengono i lavori di
Vladimír Kordoš, che nel suo video traduce citando la
Madonna di
Giovanni Bellini in vesti contemporanee, di
Anna Daucikova, esponente delle queer art, che gioca con la femminilità mascolinizzata lasciando che la protagonista del suo lavoro mostri un mondo nascosto nella cerniera dei suoi boxer, e di
Peter Ronai, che manipola la sua immagine mappandone le trasformazioni dall’infanzia al momento attuale.
Alla fine degli anni novanta le tematiche gender e femministe proseguono nei lavori di
Jana Zelibská, che in
Sisters II ritrae un rapporto ambiguo di amicizia-complicità tra due ragazze, e di
Anetta Mona Chisa, che tenta di decostruire l’immagine tradizionale della donna, rendendola rabbiosa e aggressiva. Interessati invece alla critica delle istituzioni e agli aspetti mediatizzati della società sono i video di
Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova, che lavorano insieme dal 2000, di
Milan Tittel e di
Ilona Nemeth, che analizzano ironizzando il mondo dell’arte e la massificazione dei comportamenti sociali.
Tra il 2000 e il 2008 sono databili i lavori di
Pavlína Fichta Cierna, che attraverso un cortometraggio di natura documentaria analizza soggetti socialmente problematici; di
Mira Gáberová, che in
Forever si ispira alla nozione warburghiana di pathos per riprodurla visivamente all’interno di forti suggestioni scenografiche e fantastiche; e di
Patrik Kovacovsky, che attraverso una dinamica e un montaggio cinematografici racconta storie individuali al limite della realtà.
Tra gli artisti più giovani,
Monika Kovacová e
Andrea Chrenová,
Petra Feriancová e
Matús Lányi, che sperimentano le tecniche video attraverso gli accorgimenti del fastforward e del collage, producendo riflessioni sul tempo e sulla diversa percezione che il mezzo video elabora.
Una panoramica vivace e sfaccettata, che permette di scoprire il linguaggio visivo di un Paese diverso rispetto ai soliti protagonisti della vecchia Europa. E di constatare come le differenze di messaggio siano spesso esigue.