Un doppio registro di scambi culturali è la cifra distintiva di quest’esposizione. Sotto il profilo storico, la mostra testimonia gli stretti e spesso sorprendenti legami tra Oriente e Occidente nel XIII secolo. Nel contesto contemporaneo, invece, esibisce un esempio concreto di collaborazione internazionale per la difesa di un patrimonio artistico comune alle due civiltà.
La prova di quest’intreccio di storie è in questi giorni conservata in un’immensa teca di cristallo nel cuore del Museo di Palazzo Venezia. Il tesoro che preserva è la maestosa icona di San Nicola “tìs Stégis”, che nell’allestimento è affiancata da dodici pannelli che ne raccontano la vita e il miracolo della sopravvivenza, nonché gli sforzi comuni per la sua conservazione profusi dal Museo Bizantino di Nicosia e da diversi Enti italiani.
Le straordinarie dimensioni della tavola (203×161 centimetri)
conferiscono all’opera una grandiosità accentuata dalle tinte brillanti e dai bagliori metallici d’oro, argento e stagno in lamine posti sul supporto. Sono le smaglianti condizioni in cui l’icona si presenta oggi, dopo l’accuratissimo intervento dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro.
Il dipinto compendia un intero ciclo pittorico incentrato sulla vita del santo, che emerge al centro di una composizione scandita sui lati lunghi da due fasce di riquadri con episodi e miracoli.
La vivacità dell’effetto è evidenziata dalla differenza di spessore del legno, scavato in modo da creare uno stacco tra il piano su cui giace la figura devozionale e quello della cornice architettonica che la inquadra. Un espediente che, oltre a proteggere la parte più importante dell’icona, allude al distacco fra il registro terrestre e quello divino, in cui viene posto il santo e la famiglia del committente, riconducibile al casato dei Ravendel. Tuttavia, gli auspici del santo non hanno preservato i volti dei nobili dalle gravi lacerazioni inferte dopo la caduta del loro dominio a Cipro.
Ma gli spunti più interessanti sono offerti dalle contaminazioni stilistiche e tecniche fra Oriente e Occidente,
testimonianza tangibile degli scambi culturali di cui Cipro è stata teatro nel XIII secolo fra la popolazione greca e le minoranze siriane e latine. Questi influssi spiegano la presenza di alcune scene della vita di Nicola che non sono riconducibili alla tradizione agiografica orientale e probabilmente anche la singolare tecnologia usata per l’intelaggio della tavola.
Fra i rarissimi esempi noti di tale preparazione del supporto, uno è proprio in Italia e un altro è nella stessa Nicosia, il cui Museo Bizantino conserva un’icona gemella di quella esposta a Roma, dedicata alla Madonna dei Carmelitani. Opera quasi certamente della medesima bottega, questo dipinto non ha avuto finora la sua stessa fortuna e, pur versando in un grave stato di degrado, è ancora in attesa d’un intervento di recupero.
La sua impietosa riproduzione fotografica a grandezza naturale, che campeggia nell’esposizione proprio di fronte allo splendore di quella appena restaurata, suona come un lamento sommesso. In attesa che l’esempio di collaborazione tra Italia e Cipro possa esser presto seguito da altri.