Giuseppe De Nittis (Barletta, 1836–Parigi 1884) “impressionista italiano”. Renato Miracco (che della mostra è curatore) ne ha inteso così “storicizzare il momento in cui è vissuto e tentare di rintracciare dei flussi di conoscenza, di influenza (…)”, sebbene Peppino sia stato molto di più: già nel 1914, “meridionale al sud, francese a Parigi, londinese a Londra” per Vittorio Pica.
Una peculiarità, l’adattabilità alle suggestioni dei luoghi ed alle relative innovazioni stilistiche, esaltata dall’esposizione romana -180 dipinti e circa 25 opere su carta, in prevalenza provenienti dal legato De Nittis donato alla Pinacoteca Comunale di Barletta dalla moglie e modella Lèontine Grouvelle- che si snoda per sezioni secondo un percorso non cronologico dove l’unico assente è il De Nittis alla “moda Fortuny”.
Sono esposti per la prima volta gli olii del ‘64-’66, testimonianze della pittura en plein air dei soggiorni nell’antiaccademica “Repubblica di Portici” dove fu affascinato dal chiarismo di Gigante più che dal naturalismo lezioso dei Palizzi. Insoliti i paesaggi rurali dal formato oblungo e dalla materia opaca di ispirazione macchiaiola e l’interessante saggio dalle settanta opere dedicate all’eruzione del Vesuvio del ’72: vi domina il “controluce” che preferirà per i ritratti femminili della dimensione domestica.
Immancabile Parigi, l’ambiente reazionario dei Salon (in mostra La strada da Napoli a Brindisi del ’72, conosciuta come La Strada da Brindisi a Barletta, assente da sempre dalla scena espositiva) e quello rivoluzionario degli impressionisti di Nadar: il “pittore delle parigine” raffigura gli ippodromi come i salotti più lussuosi, soffermandosi sulla luce artificiale e radente (Salotto della Principessa Matilde), sedotto spesso dalla “musa” giapponese e dalla ritrattistica di matrice inglese.
I viaggi diventano spunti atmosferici: il “pittore dei grigi” rende la bruma londinese con toni abbassati e studia la luce naturale su Westminister come il Monet delle “cattedrali”.
Se nei tagli prospettici delle inquadrature dall’alto s’ispira a Manet (Autoritratto), è chiara la tangenza con Degas nell’uso del pastello (Effetto di neve) -la matrice comune è nella scuola napoletana– e sempre col più reazionario degli impressionisti insieme al meno noto Desboutin, è anche sperimentatore di tecniche calcografiche: esaustivamente sono esposti innovativi monotipi, elaborate acqueforti e fresche puntesecche.
Nell’insieme appare evidente la dicotomia tra le opere su commissione, più mediate nei tagli, dosate, e le opere private, istintive, spesso accennate, vibranti nei toni cromatici, “impressioniste” per l’incisività del segno-colore.
La retrospettiva farà tappa a Milano. Niente di certo per la città natale del pittore, Barletta, dove la Pinacoteca Comunale è priva di un direttore accreditato e la preziosa donazione attende da decenni una sede definitiva ed un allestimento decoroso.
giusy caroppo
vista il 13 dicembre 2004
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ho visitato la mostra in dicembre e sono rimasta felicemente sorpresa dai limpidi paesaggi di De Nittis, bellissimi, di ascendenza palizziana i primi (per inciso, io non definirei "leziosa" la pittura di Palizzi, qualunque esso sia!)più macchiaioli, i tardi. Affascinanti anche gli interni parigini, specialmente quando mostrati nell'allestimento "a salotto" della sala rossa del chiostro del Bramante. Due parole anche sui ventagli di De Nittis: quelli sono o no esempi di fortunysmo?