Anche se “
l’occhio segue le vie che nell’opera gli sono state disposte”, come sosteneva
Paul Klee, sarà soprattutto la teoria della forma e della figurazione dell’artista svizzero il punto di partenza del vocabolario estetico di
Gianni Piacentino (Coazze, Torino, 1945; vive a Torino). In questo senso, assumendo “
l’ordine nell’ambito dei colori, l’allineamento finito dei colori e il loro infinito trapassare l’uno nell’altro, rapporti cromatici lungo i diametri e lungo la circonferenza”, e suggestionato dall’interazione con l’instancabile ambiente torinese degli anni ‘60, è diventato noto come uno degli artisti più interessanti e meno proclivi a etichette della sua generazione.
Affascinato dalla scienza e della tecnica per la sua precisione e rigore, i suoi lavori sono dominati da una verticalità in continuo conflitto con l’orizzontalità. Forme leggere che tergiversano con la gravità, rifiutando qualunque idea di peso, e linee che s’intrecciano accarezzandosi in un contatto appena percettibile. I colori delle vernici metallizzate sempre inventati, mai primari, reagiscono alla luce e giocano con il volume che sparisce nel vuoto, mentre le coordinate meticolosamente programmate in cui sono ubicati i lavori seguono un piano e un ordine consapevolmente definito.
In linea con questa esaustività, il ritorno dell’artista torinese a Roma, segnato dalla doppia personale, viene elaborato come un piano illustrativo della sua produzione attraverso una serie di opere recenti e una selezione di lavori storici. Così, nella galleria Il Ponte Contemporanea stupisce, nella prima sala,
Cantilever Tech-Story, A1 (2007-2008), un’opera modulare a composizione variabile che dilaga per la maggior parte dello spazio, mentre con
Race 20 (V.F.H.T) continua i suoi studi sui prototipi dei veicoli. Ancora al Ponte, di fronte a
Tavoli, Pali e Portali, due lavori del 1967,
Bronze-Silver Table Sculpture insieme a
Metalloid purple-gray inclined window object dialoga stabilendo un impeccabile rapporto tra spazi pieni e spazi vuoti, tra quella verticalità e orizzontalità precedentemente indicata.
Lo spazio dello Studio Stefania Miscetti propone, invece, il nuovo lavoro di grandi dimensioni
Ailerons Sculpture ( 2 A. 2 RV. F. W. )_1 (2007-2008), veicolo progettato con l’uso delle tecnologie CAD-CAM di ultima generazione e realizzato con materiali industriali estremamente sofisticati, che evidenziano l’accuratezza e la scrupolosità nella sua esecuzione. Oltre a una serie di lavori storici di piccole dimensioni, come
Dark Purple Gray Three Dimension e
Dull Amaranth Disk.
Una selezione cospicua di costruzioni-oggetto, dove il vincolo tra la ricerca propriamente formale e il ricorso al processo artigianale-tecnico intervengono, indipendentemente della sua funzionalità, per creare una propria estetica della sperimentazione. Lavori freddi, disciplinati e geometricamente ineccepibili, costretti a dimenticare qualsiasi traccia della mano sensibile dell’artista. Per restare inesorabilmente assoggettati a una lacerante progettualità.