“Vale la pena? Vale la pena di prendere il telaio, tirarci su ancora una tela, prepararla a ricevere come si deve il colore, perché resti vivo a lungo? Vale la pena di lavare i pennelli e di passare delle ore a esercitare l’occhio alla mira giusta sulle tinte, a sentire il polso della composizione? Vale la pena di accanirsi a snidare il probabile dalle pieghe dell’incognito che scoraggia tutti; a cercare con gli occhi, e non con i pensieri e le parole, quel che è possibile, e trasformarlo entro i suoi limiti, in realtà, in creazione?”
Non è certo un caso che Piero Dorazio formulasse questa sua interrogazione (e un’intensa risposta affermativa) proprio per presentare, già nel 1970, la pittura di Claudio Verna, così come non è un caso che di Dorazio anche Ulrich Erben sia stato a lungo amico ed estimatore. Il richiamo al grande astratto, scomparso l’anno scorso, pare in effetti assai confacente per considerare la mostra dei due pittori attualmente in corso presso gli spazi espositivi della L.I.Art, un’associazione di artisti da tempo impegnata -anche attraverso rassegne annuali in più appuntamenti come l’attuale Europa Express– in una seria attività di studio e promozione delle ragioni dell’arte astratta. Le opere esposte, infatti, si mostrano immediatamente connesse a quella linea della pittura del Novecento, che nel razionalismo lirico di Dorazio ha trovato esiti tra i più caratterizzati ed elevati.
Sia Verna (nato a Guardiagrele in Abruzzo nel 1937, è attivo a Roma sin dagli anni sessanta) che Erben (Düsseldorf, 1940, da tempo opera tra Berlino, la stessa Düsseldorf e Bagnoregio), storicamente incentrano il proprio lavoro sul colore e le potenzialità espressive di questo, come dimostra la loro lunga presenza a livello internazionale e, soprattutto, il rispettivo apporto alla questione dell’astrazione pittorica, tanto dibattuta nei contrastati anni Settanta. Per entrambi gli artisti si tratta di un colore svincolato da ogni riferimento illustrativo, e che ha nella luce il suo principio assoluto,
Può parere oggi inusuale, quando non direttamente inattuale, un discorso sulla disciplina e il ruolo del colore come principio astratto nell’arte, e tuttavia non è inutile tornarvi alle volte, se non altro come argine all’impressione serpeggiante che, nella pittura contemporanea, tutto sia concesso. Difficile, in effetti, non restare colpiti dal creativo rigore che sprigionano le opere esposte, tutte di medio formato e organizzate in due spazi diversi ma comunicanti in modo da consentire un dialogo serrato tra i due artisti. Nel caso di Verna, costante è l’attenzione a cogliere attraverso i toni sontuosi di colori a olio e pastelli uno scarto percettivo/sensoriale tra ordine ed eccezione, o, come rifletteva al proposito Filiberto Menna, “il punto in cui il momento geometrico e contemplativo trapassa in quello più direttamente compromesso con l’esperienza sensibile”. Si tratta, peraltro, di un’attenzione che anche Erben manifesta appieno con l’approfondimento della dinamicità percettiva del colore, ottenuta ora mescolando alle tinte acriliche dei pigmenti puri, ora lasciando in evidenza tracce di nastro adesivo che diventano parte integrante della composizione, con esiti di notevole respiro.
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