Silvia Stucky (Roma, 1959) ama viaggiare. Entra in punta di piedi in scenari sempre nuovi -paesaggi, genti, quotidiano, architetture- e aspetta con pazienza il momento giusto per catturarne l’immagine, lasciandosi stupire costantemente da quello che vede. Una freschezza di sguardo, la sua, che ben si coniuga con quel rigore formale, frutto di una sensibilità pittorica che guarda molto a Oriente.
Anche in
Il sussurro del mondo, la personale al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea in cui viene presentata
Mobile-Immobile (2008) -un’opera di 62 fotografie realizzate a partire dal 1999 in Giappone e Finlandia, per proseguire in altri tempi e luoghi (le immagini sono accompagnate da frasi di antichi haiku)- e i video
Acqua che scorre nuvole che passano (2000),
Haiku (2008) e
Come l’acqua che scorre (2008), il percorso è segnato dalla presenza di un elemento ricorrente nel suo linguaggio: l’acqua.
Stucky lo esplora concettualmente per affrontare il tema di mutazione/immobilità, trasparenze, fluire vitale. Ma anche la tecnica entra in gioco, perché l’acqua è il medium per dipingere a gouache, acquarello e china -tecniche che predilige- proprio come la luce per realizzare le fotografie. “
Nel taoismo l’acqua è un elemento fondamentale, simbolico”, spiega l’artista. “
Negli antichi testi è scritto che l’atteggiamento dell’uomo deve essere come quello dell’acqua. Deve avere la capacità di fluire insieme alle cose”.
Sia nelle stampe fotografiche che nei video, le immagini sono associate tra loro con estrema libertà. Porzioni di elementi naturali, gesti ripetuti, temporalità dilatate, riflessi d’acqua, forme geometriche, squarci di cieli. Frammenti che sembrano talvolta motivi ornamentali in cui si respira una certa spiritualità. Come quelle tre foto, per l’artista particolarmente significative, che mostrano dettagli architettonici provenienti da aree geografiche distanti tra loro anni luce. L’obiettivo cattura scorci di pareti realizzate con materiali diversi. È di legno quella della secentesca chiesa nel nord della Finlandia, di fango e paglia il muro del granaio in Mali e di bambù quella della sala per la cerimonia del tè, in stile imperiale, nei pressi di Kyoto. Se le pareti in legno e bambù poggiano su uno zoccolo di pietre, quella di pisé sul tronco di una palma, a sua volta sollevato dal suolo con mattoni. “
Immagini che esprimono un concetto fondamentale, l’importanza di adattare i materiali alla natura, senza forzature e manipolazioni”.
In questa visione rispettosa per l’altro, che sia uomo o natura, Stucky riesce a cogliere anche gesti che tendono a passare inosservati nel divenire quotidiano, come quando inquadra -stavolta con la videocamera (è una delle 12 immagini brevi che compongono
Haiku)- la scopa di saggina che un anonimo inserviente, con i piedi calzati da galoche, agita nella superficie liquida della vasca di una fontana per togliere una a una le foglie che vi sono cadute dentro.