Non poteva arrivare in un momento più opportuno questa mostra sulla Cina. Il fitto scambio, non solo culturale, con il nostro Paese, sottolineato lo scorso anno dalle celebrazioni Italia – Cina, sta ormai concludendo la sua fase di rodaggio per diventare una solida realtà. Un rapporto che ha permesso, con le ovvie difficoltà, la migrazione di una quantità di reperti davvero considerevole.
Oltre 300 opere esposte (che si collocano tra la dinastia Zhou 1045-221 a.C. e il Primo Impero 221 a.C. – 23 d.C.), il più alto numero di manufatti mai concesso dalle autorità cinesi per una mostra in Occidente. Un quantità così elevata di reperti archeologici, oltretutto di un periodo circoscritto della storia cinese, correva il rischio di diventare un corpus espositivo destinato ad esperti e appassionati del settore. Un sostanziale contributo per evitare questa conseguenza viene tuttavia da un allestimento esclusivo affidato al regista teatrale Luca Ronconi. “È l’esposizione che ha messo l’emozione sopra ogni cosa”, ha dichiarato. Ed è davvero così. La sensazione è quella di assistere in doveroso rispetto e silenzio ad uno spettacolo. Dove il palcoscenico sono le vetrine -prive del vetro- e il sipario è fatto di tulle. La luce è soffusa e occhi di bue illuminano i protagonisti della scena, il resto è buio. Proprio come doveva essere nel luogo dove queste sculture si trovavano: le tombe ipogee. Parliamo ovviamente dell’esercito di terracotta che doveva sorvegliare in eterno le spoglie del primo grande imperatore cinese Qin Shi Huangdi (259-210 a.C.). Buio e silenzio, anche la musica è assente.
Il sipario si apre sulla prima sezione della mostra, destinata principalmente ad accogliere le statue in terracotta a grandezza naturale: guerrieri, animali, armature. Un carro con tanto di cavalli, auriga e due soldati troneggia in tutta la sua magnificenza. Ed è solo uno dei 64 carri simili trovati nel sito archeologico di provenienza. Ruba la scena però senza ombra di dubbio la veste di giada tessuta in filo d’oro risalente all’epoca della dinastia Han Occidentale (206 a.C. – 23 d.C.). Oltre quattromila tessere della pietra preziosa, simbolo di immortalità, per un metro e settanta di statura del nobile defunto.
Dopo questa prima parte “monumentale” si passa alla seconda sezione, che accoglie gli oggetti più disparati. Bronzi cerimoniali, strumenti musicali, vasi, caraffe, bruciaprofumi, specchi, pugnali, e altri manufatti provenienti da corredi funebri. L’atmosfera magica si perde un po’; a rompere il silenzio un singolare Litofono (433 a.C. periodo Stati). Si tratta di uno strumento musicale rinvenuto nella tomba del marchese Yi di Zeng a Leigudun, costituito come suggerisce il nome, da una fila di lastre di pietra disposte su due assi paralleli in bronzo. Il tutto sorretto da animali alati, dal lungo collo e di straordinaria manifattura. Considerando che la cultura orientale rispetto a quella occidentale pone molta meno attenzione alla conservazione degli oggetti, privilegiando invece la memoria del paesaggio naturale, la quantità di reperti rinvenuti, restaurati e qui esposti è davvero un’eccezione. Da non perdere.
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