Wop è un termine gergale –coniato dagli americani per definire gli immigrati italiani senza passaporto– e allude, in questo caso, all’immaginario made in Usa, assimilato dalla gioventù capitolina negli anni ’90. Al fascino per New York, che ha visto nascere le prime gang armate di spray si è progressivamente affiancata la consapevolezza delle proprie radici. I roman graffiti, dunque, non si riducono alla semplice emulazione del modello americano, né rappresentano una sua propaggine dialettale. Pur contaminati dagli States, i lavori esposti si distinguono per una freschezza e originalità, decisamente “autoctone”. Il comune substrato metropolitano è reinventato da ciascuno in chiave personale, testimoniando il proprio vissuto e gli stimoli raccolti on the street.
L’identità del moderno bricoleur, più intento a riciclare che a produrre, traspare nei lavori di Nico (Stefano Proietti): un kit di sopravvivenza, approntato per le tribù nomadi nella precarietà spaziale dell’habitat urbano. Carrelli di supermercato, reliquia del consumo, riutilizzati nella funzione inedita di dimore itineranti. Scrutando attentamente, non vi si trovano beni di prima necessità, indispensabili ai naufraghi dell’infosfera, ma “oggetti d’affezione” – come la cartella delle elementari – altrettanto irrinunciabili e intrisi di élan adolescenziale. Il lungo training da graffitaro emerge dalle tele di Joe (Leonardo Franceschi), che mostrano l’essenzialità di un gesto, addestrato alla fattura rapida e compendiaria dei blitz illegali.
Stand (Emiliano Cataldo), memoria storica del writing capitolino, presenta un mosaico di scatti fotografici che trasmettono la spontaneità e l’entusiasmo del feeling creativo instaurato con i compagni di strada – e di vita – per oltre un decennio. L’énsamble si presenta come un’installazione, in cui i flash esistenziali sono enfatizzati da cornici bizzarre, quasi barocche, per avvalorare ulteriormente il significato di quelle immagini.
Il medium fotografico si addice a un altro protagonista della streetness romana, Papik Rossi, skater che ha saputo trasformare in arte lo sguardo rapace e istantaneo da virtuoso della tavola. Con ironia, Papik si presenta in versione patinata, rivisitando stili diversi del look skate: in barba ai posers e alle fashion victims, sterili usurpatori del core street! Tra i più giovani, JBRock (Jacopo Baruchello), approdato dal writing alle forme attuali della sticker e stencil art. Attingendo all’iconografia neo-pop, tipica di un’estetica massificata e globale, JBRock realizza una serie di piccole tele quadrate, raccolte come le figurine di un album: un catalogo personale dei miti contemporanei, veicolati da cinema, fumetto e TV. La mostra comprende, inoltre, opere di Pane (Stefano Monfeli, Why Style), Fupete (Daniele Tabellini), Mirai Pulvirenti, Alessandro Maida (Why Style) e Giorgio Mazzone.
maria egizia fiaschetti
mostra visitata il 15 febbraio 2005
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