È come in caduta libera l’opera di
Ernesto Neto (Rio de Janeiro, 1964). Nell’atrio del Macro, fra le due mostre di
Schneider e
Chiasera, l’installazione site specific del brasiliano fa risuonare la nota introduttiva. E, forse, ancor più si potrebbe dire paragonandola a una chiave di violino che annuncia sul pentagramma la sinfonia che verrà.
L’opera di Neto riempe la hall. Una
struttura -tuttavia, la rigidità evocata dal termine non rende giustizia alla fluidità dell’opera- calata dall’alto, ancorata alle capriate in ferro della galleria. Un paracadute organolettico che lacrima odori speziati. Cumino, pepe, chiodi di garofano, curcuma e zenzero le spezie utilizzate. L’apparato, in lycra, conserva le morbide forme del tessuto e la trasparenza dello sfilacciamento. Nonostante il richiamo più immediato sia al senso dell’olfatto, è altrettanto vero che le sembianze della struttura evocano l’immagine di uno strumento sonoro, per dimensioni e pendoli intessuti di odori di immaginifiche campane; tra il vento e la suggestione dell’altezza, la reminescenza musicale mantiene intatto il paragone precedente. Ma la natura sensuale dell’esperienza rimane soggettiva. Per ciò potrebbe essere parziale la comunicazione sinestetica.
Nei fatti, Neto parla di “
una pelle di esistenza e di rapporto”, una membrana che separa esterno dall’interno, protezione e vulnerabilità. “
Rapporto” perché l’opera è indubbiamente relazionale: invita il passante ad avvicinarsi, a camminarvi in mezzo, a inebriarsi degli odori racchiusi. Allora la hall assume a tutti gli effetti la natura di luogo strategico per la mostra, e non solo in virtù della funzionalità di un alto soffitto, quanto soprattutto del significato antropologico che si può dare di questo spazio.
Hall come luogo di transito nelle antiche case di gusto borghese,
hall come luogo pubblico/privato d’attesa nei grandi e piccoli hotel.
In tal senso si segnalano due pratiche: attraversare in funzione di un luogo da raggiungere o restare in attesa di qualcuno. Entrambi sono tempi morti: prima che qualcosa accada.
Mentre niente accade è allora il titolo significativo che il brasiliano concede: nell’istante in cui tutto è ancora da venire, concediti ai sensi, tutti i sensi possibili. Lirismo, sensualità, fluidità. L’installazione è erotica perché seduce, si protende in apparenti baci ma non si concede del tutto. Le estensioni che contengono i sacchetti delle cinque spezie appaiono elementi di natura organica e di fascino biologico, un biologico che appartiene all’umano.
Apologia della relazione umana, arte spaziale e socievole ai limiti del taumaturgico. Nella triade delle opere in mostra, quella di Neto è un’opportuna soglia. Per Scheneider e Chiasera, il visitatore è già corpo e mente ricettiva.
Equilibri matematici si segnalano anche per la Fondazione Volume!. Una tela sottile si estende in tutta l’area della sala, in altezza per
1/3, come recita il titolo. Una planarità interrotta dal peso di sassi che sembrano sottratti alle pareti in cemento grezzo della galleria e che si distribuiscono creando vuoti gravitazionali fra gli uni e gli altri.
Nonostante l’imponenza degli spazi, l’uso della pietra che contiene e che è contenuta, l’opera di Neto dona anche qui leggerezza. Lasciando da parte gli odori della terra, questa volta è la metafora del cielo a cui si richiama l’opera. Il sottotitolo,
Orizzonte degli eventi… neri, prontamente trascritto sul muro con imprecisa firma dall’artista, invita a entrare per essere dentro l’opera, per percepirla.
Orizzonte temporale, estensione spaziale: Neto crea un piccolo mondo.
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Meraviglioso Neto!