Seconda personale italiana di
Joe Duggan (Limerick, 1973; vive a Londra), nello stesso spazio romano dov’è avvenuto il suo esordio nel 2005. In quest’occasione, l’artista irlandese presenta un’installazione che occupa l’intera galleria con due fotografie e altrettante sculture.
Il tema di
Dear God è il credo religioso, inteso come necessità umana, sia mentale che fisica, per affrontare le difficoltà della vita. Al centro della sala è stata eretta una grande struttura praticabile in legno, una chiesa cattolica con tanto di croce posta all’ingresso. Duggan ha realizzato la costruzione
in loco, montando personalmente le travi che, tagliate secondo un suo progetto, danno vita a un’ossatura incompleta ma chiaramente riconoscibile. La seconda scultura, notevolmente più piccola, rappresenta un cavallo dorato tagliato a metà, con la parte posteriore che precede quella anteriore: una sorta di reperto archeologico di un culto dimenticato.
Alle pareti, due fotografie a colori di medio formato. Una ritrae imponenti rocce, l’altra manufatti risalenti alla seconda guerra mondiale. Ambedue comunicano una profonda spiritualità primitiva, ed entrambe sono state scattate nel nord del Canada, nel Newfounland, dove l’artista ha vissuto per qualche tempo grazie a una borsa di studio.
Mettendo in scena questi frammenti rudimentali di religioni, Duggan mostra un aspetto primigenio del cattolicesimo, che egli stesso in quanto irlandese ben conosce, sebbene pare non ne sia emotivamente coinvolto; un cattolicesimo che, così, viene assimilato ai culti idolatrici di origine pagana.
L’uomo ha bisogno di sacralità, ha bisogno dei riti per letteralmente emozionarsi ed entrare in quello stato di esaltazione necessario per accostarsi al divino, al mistero. Ed è proprio per soddisfare quest’urgenza che Duggan costruisce la propria chiesa, l’ennesima chiesa a Roma, ripetendo oggi un’azione realizzata in passato innumerevoli volte da moltitudini di uomini.
Usando per la prima volta la scultura insieme alla fotografia, questo progetto è una prosecuzione della precedente produzione artistica di Duggan, nella quale il mezzo fotografico era utilizzato per produrre altre “narrazioni”, come nella personale romana – composta da otto fotografie di grande formato, raffiguranti nature morte dall’ambiguità imbarazzante – e nel lavoro che lo ha portato all’attenzione della critica,
The Family Man (2007), nel quale l’artista si fotografava in situazioni familiari, artificialmente idilliache.
Scatti ove Duggan era l’unico essere umano, circondato da manichini raffiguranti uomini, donne, bambini e animali domestici. Creando così, con una buona dose d’ironia, un senso di spiazzamento e d’incertezza.