Una selezione di 61 lavori racconta, attraverso quattro
decenni, la carriera internazionale di
Sandro Chia (Firenze, 1946; vive a Miami,
Roma e Montalcino, Siena). Il focus della mostra alla Galleria Nazionale è
manifesto, ed espresso già nel titolo dell’esposizione: l’argomento è la
pittura “
popolare e nobilissima arte”, concetto insindacabile e sempiterno, che suona come un
richiamo all’attenzione.
In un’epoca nella quale l’espressione artistica predilige
perlopiù strumenti e tecniche “moderne”, tecnologiche e multimediali, la
pittura appare quasi inevitabilmente come una metodologia antica, in disuso,
come se l’immensa tradizione che la sottende ne avesse esaurito la linfa.
Il lavoro di Chia testimonia il contrario: la permanenza
della vitalità e della possibilità di una pittura contemporanea. Dagli esordi
negli anni ‘70, dopo una breve sperimentazione in ambito concettuale, l’artista
toscano ha sviluppato il proprio linguaggio avvalendosi di tele, pennelli e
colori, muovendosi cioè in una concezione che oggi potremmo definire “classica”
dell’arte visiva: il quadro.
Un altro aspetto che concorre a questa definizione è la
centralità della figura umana in tutta la produzione di Sandro Chia:
l’esposizione è suddivisa infatti in quattro sezioni, che raccolgono alcune differenti
tipologie – figure ansiose, figure titaniche, figurabile e figure ad arte – tra
le quali si possono leggere gli sviluppi stilistici che afferiscono a periodi e
temi d’indagine differenti.
Spiega l’artista: “
Se il quadro è il luogo dove
incessantemente si rappresenta l’apparizione, la creazione dell’immagine, le
figure sono gli attori di questo teatro latente”; e prosegue chiarendo come, in
un continuo rimando, le figure si generino nel tempo l’una dall’altra
attraverso assonanze e risonanze.
Scorrendo la selezione delle opere in mostra, appaiono
immagini profondamente distanti tra loro, poiché provenienti da codici
espressivi e culturali diversi, che risentono dell’influsso di alcune delle
principali correnti artistiche del secolo scorso. Dalla Metafisica (dal cui
repertorio iconografico sembrano avere origine le figure di
Street Fountain e
Lo schiavo) al Futurismo e al Surrealismo
per la costruzione delle atmosfere metropolitane e ansiogene (
Sul tetto,
sulla strada), al
continuo rifarsi alla ricerca sul colore del Postimpressionismo dei fauves e
Die Brucke, che si ritrova matrice di gran parte dei lavori esposti, tra i
quali
Fire Game e
Io sono un pescador.
Il curatore Achille Bonito Oliva definisce questo
atteggiamento come “
nomadismo culturale”, caratteristica che accomuna gli artisti della
Transavanguardia. Spesso però sembra diventare una ripetizione di stili
espressivi che non contiene un portato nuovo di significati o d’interpretazioni
della realtà. Appare mancante in questi lavori un tratto veramente originale e
personale, un filo che unisca tante manifestazioni di pensiero e che conduca a
un linguaggio nuovo e attuale.
Le figure e i contesti in cui queste manifestazioni si
trovano a vivere nei quadri provengono dal passato, dalla mitologia e dalla
storia, e sembrano essere racchiuse in un mondo lontano. Quasi incapaci di
comunicare, al di là della pittura, con l’uomo contemporaneo.
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La mostra non sarebbe allestita male. Chia invece non ha proprio la classe di Clemente o l'inventiva del primo Cucchi!
Da notare la nota di ABO che parla delle grandi capacità tecniche che accompagnano Chia. Mi domando dove le abbia viste perchè dalla sua pittura non si evincono. Può darsi che ne sia effettivamente dotato ma non le mostra, giustamente. Ora, o ABO capisce poco di pittura o questa considerazione gli serviva a sostegno delle sue teorie. Ma quando la realtà non coincide con la teoria non è la realtà ad essere sbagliata...
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