L’ideografia è un’evoluzione della pittografia, che racchiude, oltre al semplice significato delle cose rappresentate, anche le idee che queste cose accompagnano. L’ideogramma è invece una scrittura analitica composta da più caratteri uniti insieme. Il simbolo, come un segnale stradale ad esempio, è un segno convenzionale che tende ad esprimere una realtà più estesa o addirittura un concetto astratto e, più complesso di un segno, può indicare un determinato comportamento da tenersi dietro suo avviso. Esistono poi crittogrammi e scritture crittate che per essere lette hanno bisogno di un codificatore, di una chiave. Sono realtà del linguaggio scritto tese ciascuna a stabilire una comunicazione sintetica che possa essere compresa velocemente dal maggior numero di persone o, di converso, portata a nascondersi il più possibile dentro se stessa sino a risultare per i più un insolubile enigma.
Wolfgang Berkowski su questa linea, usa, per il suo diario, un vocabolario ideografico personale, in cui i segni si organizzano in unità di senso di cui egli è il solo decodificatore. In questo caso il significato si fa ancor più recondito, per non dire inaccessibile. Eppure, il fascino ermetico di questi geroglifici contemporanei sta nel suggerire continue funzioni immaginative. La traduzione arbitraria di questi simboli abbraccia soluzioni probabili, in bilico tra la definizione iconica e la libera disposizione delle linee. Aperti o chiusi che siano, i segmenti che costituiscono le unità di questo linguaggio suscitano comunque analogie con repertori semantici noti. Sempre nella mostra Mehr Licht elementi d’alluminio, a sezione quadrata, sono appoggiati al muro. Su di essi l’artista ha applicato delle lampadine con supporti di ceramica bianca. Così pare di trovarsi in uno scavo archeologico, dove sui muri scorre ad altezza d’occhio la scrittura di Berkowski. Solamente due superfici metalliche monocrome sembrano
Il dizionario privato di Berkowski ha così ragion d’essere nella manifestazione palese di un’idea di illuminazione, intesa sia in senso fisico che metaforico, idea condensata nel titolo della mostra. Più luce rimanda all’auspicio di Goethe sul letto di morte; la richiesta di chiarificazione esprime la speranza di raccogliere energie utili a dar spunto all’immaginazione. È forse in questo la poesia che si scorge nell’ordinata sequenza di appunti neri, capaci di narrare un’esistenza per episodi senza esporli palesemente. Il valore maggiore sta proprio nel giocare con il non detto, nel rovesciare la sfacciata evidenza di quello che Baudrillard definisce “gioco speculare con il mondo contemporaneo cosi come esso ha luogo”. Dando così senso alla trascendenza, avviando una diversione dal sistema ordinario della pubblicità e conducendoci verso la singolarità di un’esistenza, eludendo la facile genericità di un dato di dominio comune. Berkowski dà luogo a fantastiche traduzioni del suo codice mettendo al bando il superfluo e l’esplicativo; in altri termini, cancellando ogni contributo didascalico, offre un coinvolgimento esclusivo del pubblico. Per concludere, sebbene sia innegabile la matrice concettuale lavoro di Berkowski, si scorge una libertà che va oltre il mero intento classificatorio dell’annotazione del vissuto. Mehr Licht è una mostra in cui non si trova altro che luce. E la luce, si sa, schiarisce le idee.
marcello carriero
mostra visitata il 23 marzo 2006
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