Un altro grande nome della scena artistica contemporanea. Dopo aver inaugurato la sua nuova galleria con Richard Long, Lorcan O’Neill porta a Roma uno dei più grandi fotografi viventi: Jeff Wall.
Canadese, 56enne, diventato celebre negli anni ’70 per i grandi lightbox – contenitori illuminati che contribuiscono a fornire l’immagine di un’aura di perfezione, enfatizzata dalla brillantezza e dalla rigorosa composizione – Wall presenta otto lavori.
Le opere, tutti lightbox a colori, pur non inediti, sono di grande livello. Li caratterizza la mancanza della figura umana: l’interesse dell’artista – infatti – si concentra su oggetti o elementi qualunque, ma che, una voltazoomati dall’obbiettivo della macchina del fotografo, vanno ad assumere lo status di opere d’arte.
Come avviene nel bellissimo Sunflowers del 1995, dove Wall ritrae un girasole dentro un vaso appoggiato su un tavolo da cucina. Un’immagine semplice, un soggetto magari banale, ma talmente perfetto da rimandare a un’opera dipinta. Non a caso l’artista viene spesso definito pittore della vita moderna a testimonianza dell’influenza, che – in parte – ha la pittura (Manet e Cezanne in particolare) nei confronti della sua fotografia, come ha accennato Wall stesso durante la conferenza tenuta al MAXXI il giorno prima dell’inaugurazione.
In tutte le opere, da Clipped branches a Peas and Sauce il rigore della composizione sembra contraddire la – solo apparente – semplicità dei soggetti.
Wall osserva la realtà che lo circonda e quando una certa immagine lo colpisce, la tiene a mente e poi la ricostruisce meticolosamente. Non a caso gran parte delle sue fotografie sono staged e potrebbero ricordarci – con i dovuti distinguo – i lavori dell’artista tedesco Thomas Demand.
Anche in queste opere – come nella maggior parte della produzione di Wall – sembra quasi che il filtro dell’obbiettivo si annulli: chi guarda sembra non accorgersi di avere di fronte una ri-rappresentazione del reale, ma ha l’impressione di vedere direttamente il soggetto. L’opera d’arte stessa.
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