Il tratto è continuo, senza incertezze. Segue i contorni delle figure, ma non si concede modulazioni: sempre esatto, sintetico. Più che descrivere, in qualche modo, materializza istantaneamente. Così Valerio Berruti (Alba, 1977; vive a Verduno – Cuneo) evoca il ricordo di un’infanzia lontana e poi la fissa sulla superficie scabra della tela di juta: la tecnica, antica, dell’affresco ben si presta a quest’operazione severa che elimina con decisione i dettagli a favore di un’immagine fatta solo del proprio perimetro.
Il risultato, dunque, è una teoria di piccoli personaggi compunti, seri, talvolta decisamente mesti, da guardare con nostalgia, ritornando con la mente ai giochi, alle sgridate, al momento temuto del castigo. Perché il tema che attraversa la personale del giovane artista piemontese è proprio la memoria della punizione: odiata, subita, ma in fondo necessaria situazione di rottura. Dalla spensieratezza all’osservanza delle regole.
Così i gesti, i volti dei bambini tessono la trama di un racconto delicato che oscilla, con straordinario equilibrio, dalla condizione dolorosa dei piccoli allo sguardo colmo di rimpianto dei grandi. Perché il tempo del castigo è dopotutto il tempo perduto dell’infanzia irresponsabile.
Il fondo è monocromo, qualche volta attraversato dalla luce calibrata di rettangoli bianchi, simili a schermi vuoti; i colori sono
Con pochi, concisi tratti Valerio Berruti traccia occhi, bocche, sguardi silenziosi, labbra strette a trattenere i singhiozzi: è il momento dell’abbandono, è la prima cocente solitudine. Ed è pure – a suo modo – un inizio. E allora non stupisce che alcuni di quei bambini esplicitamente guardino in macchina, proprio verso lo spettatore. Con uno sguardo che è carico di domande e di incertezze: forse rivolto all’adulto, forse rivolto al bambino che era.
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mariacristina bastante
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