Il fotografo
Abelardo Morell (La Habana, 1948) è sì un artista dell’obiettivo, ma è soprattutto un artigiano. Elegante, poetico, visionario, ma pur sempre un artigiano. Ed è una fortuna, perché in questo modo -grazie alla sua attività artistica- si può ottenere un impasto che ha qualcosa di magico, proprio perché capace di dar vita a immagini in cui mente e cuore, tecnica e fervore creativo sono dosati alla perfezione. Il contatto con i suoi scatti invade gli occhi non appena lo sguardo si posa a osservare non solo la visione d’insieme, ma anche i tanti piccoli dettagli presenti nelle immagini.
Morell, affermato sia in America che in Europa, approda finalmente nella Capitale per presentare
When in Rome, corpus di fotografie a colori e in bianco e nero tratte da due distinte serie precedenti,
Camera obscura e
Book of books.
Il primo lavoro ci trasporta in un mondo sconosciuto, diviso tra malinconia e giocosità. Il meccanismo percettivo studiato da Gianbattista Della Porta durante il XIV secolo mostra ancora oggi tutto il suo fascino arcano.
Evidentemente ne è stato vittima anche Morell, che ha deciso di rivisitarlo accuratamente nelle sue fotografie, proponendone una nuova e più complessa interpretazione. In
Grand Canal e in
Coliseum si realizza non solo il misterioso gioco della camera oscura, ma si spalancano per il visitatore le porte che permettono un ingresso privilegiato nella tradizione di luoghi incantati e senza tempo.
Le pareti delle stanze che l’artista rappresenta sono lo strumento su cui prende vita e nuova forma la bellezza di città come Roma, Venezia, Firenze e Parigi, con i loro monumenti ma anche con la testimonianza del passaggio delle tante vite (ognuna con il proprio sogno da realizzare) che hanno solcato le strade.
Diverso invece l’approccio di Morell nel secondo lavoro, di cui fanno parte
Book stacks in a very large space e
A tale of two cities. Qui il fotografo si avvicina ai libri ritratti, quasi a volerli penetrare nella loro essenza, mostrandoceli come davvero non li abbiamo mai visti. È come se volesse comunicare non soltanto il significato immenso della cultura, di cui i libri (con tutta la loro materia fatta di inchiostro, carta e immaginazione) sono il simbolo principe, ma anche il senso della storia e il valore estetico che essi possono acquisire se osservati con uno spirito capace di andare oltre le mere apparenze. Dal punto di vista iconografico, i volumi immortalati acquistano nuovo significato, grazie a forme inedite e particolarmente espressive create attraverso una inedita rappresentazione fotografica.
La luce e le ombre, ma anche l’aria, le pietre dei monumenti, le pagine stanche dei libri e soprattutto l’emotività dell’artista stesso sono plasmate con maestria dall’obiettivo di Morell. Capace come pochi altri, proprio perché esposto in prima persona, di farci esplorare un mondo stregato, precluso a chi non sa viaggiare con l’immaginazione.