Imboccata l’esile via dei Pettinari, eccoci d’un balzo nella Dorothy Circus Gallery, in un denso e faticoso sabato romano. Accolti dal cinabro dei velluti, solleticati dalla polifonia degli astanti e dall’effervescenza paglierina dei prosecchi, presenziamo con languida curiosità all’inaugurazione di “Illusion”, la prima personale italiana di Afarin Sajedi. Apprendiamo che, in passato, la giovane pittrice iraniana aveva già visitato artisticamente la Capitale partecipando a un paio di collettive di un certo rilievo: a Palazzo Valentini nel 2012 e, l’anno successivo, nello stesso spazio che oggi nuovamente la ospita. Il tratto peculiare di questa appartata galleria romana è da cercarsi nell’interesse dominante per il surrealismo pop, un movimento artistico nato in California una quarantina d’anni fa, promotore di un audace forma di sincretismo: nei moduli estetici della prossimale pop art, avvinta al banale, ripetitivo linguaggio della quotidianità, del fumetto, del cinema, del cartellone pubblicitario, si insinuava la surrealtà del mito e della fiaba, quell’improvviso barbaglio onirico-psichico caratteristico della storica avanguardia bretoniana.
Nel lume di questa duplice vena dal corso ancora imprevedibile si svolge la ricerca artistica di Afarin Sajedi. Ci coglie di sorpresa la serie degli acrilici “Illusion” che dà il nome alla mostra. Un medesimo volto clownesco – tagliato su un fondo ceruleo – reiterato in cinque pose variamente guarnite: con un vistoso pesce sul capo fasciato, con una o più barchette di carta diversamente disposte, con dei grossi occhiali da pilota. In un breve colloquio, la pittrice ci racconta del suo interesse per il simbolismo ittico e, curiosamente, per la Weltanschauung degli indiani d’America. Troviamo qui, forse, un’utile chiave di lettura: presso quei popoli dal retaggio ancestrale il clown, il buffone, il saltimbanco – creature mercuriali dai connotati atmosferici o equorei – godono di un particolare statuto ontologico, appese a un’esistenza non del tutto terrena, essendo ritenute mediatrici tra il mondo degli dei e quello degli uomini. L’occhio si volge quindi alle tele più piccole, di differente concezione ma di consimile ispirazione: singolari immagini teriomorfe su sfondo nero che incutono al riguardante lo stupore fantastico degli antichi bestiari. Un indiretto omaggio, si direbbe, alle surreali composizioni di Max Ernst e insieme, ancora una volta, un invito a saper cogliere ciò che di straordinario traluce oltre il velo illusorio della quotidiana banalità.
Luigi Capano
mostra visitata il 16 aprile
Dal 16 aprile al 28 maggio 2016
Afarin Sajedi, “Illusion”
Dorothy Circus Gallery
Via dei Pettinari 76, Roma
Orari: lunedì 10:30-18,30, martedì 10:30-19:00, mercoledì e giovedì 10:30-19:30,venerdì e sabato 11:30-20:00