Una rivoluzione improvvisa quanto radicale travolge gli ultimi decenni del Duecento, spalancando nuovi scenari nella storia dell’arte italiana. Alla sua radice, la costruzione dello spazio secondo le leggi della prospettiva naturale. Protagonista indiscusso di tale mutamento?
Il più sovrano maestro stato in dipintura,
Giotto (Colle di Vespignano, Firenze, 1267 ca. – Firenze, 1337), in mostra a Roma settant’anni dopo l’ultima esposizione di Firenze.
Pleonastico disquisire sullo spessore artistico-culturale dell’evento. Ciononostante, le polemiche non sono mancate, in particolare riguardo all’esiguo numero delle opere ‘Giotto-Giotto’ presenti in mostra (
Giotto, non-Giotto è il saggio datato 1939 di Richard Offner che nega la paternità giottesca di una cospicua serie di lavori, compreso il ciclo di affreschi ad Assisi).
Partendo dal presupposto che le opere fondamentali dell’artista sono su muro (e dunque trasportabili con un tantino di complessità) e della difficoltà dei prestiti, è plausibile che su 150 opere esposte, il nucleo giottesco consti di diciotto tavole, un disegno e una vetrata. Vero è che solo nove opere e il disegno sono assegnate al Maestro, le altre sono attribuzioni oggetto di disputa e di aspro dibattito tra le schiere dei ‘non-Giotto’. Specchio fedele della
querelle è il catalogo, ove compaiono saggi equamente ripartiti tra le varie fazioni.
Lo stesso curatore della mostra, Alessandro Tomei, afferma sulla vicenda giottesca: “
Nulla è certo nella cronologia, assai poco nel riconoscimento dell’autografia”. Nessuna novità, dunque, strombazzano i detrattori, nessuna eclatante attribuzione. Il clima d’incertezza arriva a mettere in discussione addirittura la data di nascita dell’artista (verosimilmente il 1267) e anche il luogo: sembrerebbe Colle di Vespignano.
La rassegna romana si presenta dispiegando un notevole impegno organizzativo, peraltro ampiamente giustificato. Le ragioni sono insite nell’innovativo disegno progettuale, egregiamente riflesso nell’allestimento. Che ripercorre con strumenti critici inediti il percorso figurativo di Giotto, tratteggiando le peculiarità del contesto da cui prese le mosse; che sottolinea l’importanza del ruolo svolto da Roma e dall’antichità nella formazione del suo linguaggio; che presenta, con esempi prelevati ad hoc – miniatura e arti suntuarie comprese – e dai più diversi contesti geografici, una panoramica mai tentata in precedenza di ogni declinazione stilistica e formale della lezione giottesca.
Polittici, dipinti su tavola, affreschi strappati, sculture, manoscritti e oreficerie emergono dalle luci basse su sfondi rosati. Capolavori di
Cimabue,
Pietro Lorenzetti,
Arnolfo di Cambio e tanti altri, introducono al
sancta sanctorum giottesco: ecco la grande pala della
Madonna col Bambino in trono e due angeli o il
Polittico di Badia, i
Santi Stefano, Luca e Giacomo minore, la predella del
Trittico Stefaneschi e i resti del mosaico della
Navicella degli Apostoli.
Pochi pezzi? Sì, ma eloquenti. Suggeriscono fra l’altro che la rivoluzione operata da Giotto non fu puramente formale: il suo naturalismo, il nuovo senso dello spazio, del volume, del colore furono i mezzi di cui si servì per dare realtà e verità alla pittura. Come non era mai avvenuto prima.