Ref come riferimento, citazione. Reference, in lingua anglosassone. Questo il fil rouge dell’evento curato da Gigiotto del Vecchio, tema che si presta a molteplici interpretazioni, pur correndo il rischio di mettere in scena il puro citazionismo. Non è questo il caso, e la varietà di soluzioni degli artisti chiamati ad esporre si traduce in stimoli e suggestioni diverse, dal riferimento non sempre immediato. Le citazioni presenti sono davvero tante, da Pistoletto alla Metafisica, da Christopher Williams a Pirandello. A fare da muse non solo gli artisti del passato, ma anche personaggi dello scenario internazionale, filosofi, poeti. Si fa strada così la curiosità dello scoprire chi si rifà a chi e perché. In un continuo gioco di accenni e rimandi, ad emergere per prima è la chiarezza di chi ha scelto il ritratto, genere referenzialeper eccellenza.
Matthew Antezzo ripropone i volti di tre personaggi dall’indole rivoluzionaria, riferendosi allo stesso tempo alle individualità rappresentate e al mondo della politica. Il subcomandante Marcos, Ho Chi Minh e Aung San Suu Kyi, leader del femminismo birmano, appaiono come icone, immediatamente riconoscibili e cariche di significato. Bisogna invece affidarsi alle didascalie per capire che la maschera indossata da David Wojnarowicz richiama Arthur Rimbaud, a cui il fotografo dedica tutta la serie di scatti del 1977. Alla tradizione dell’autoritratto in maschera, già di per sé citazione della celebre frase Je est un autre, si associa la compartecipazione dell’autore ad uno stile di vita maudit, che fa di New York la propria saison à l’enfer. La presenza di Wojnarowicz nelle vesti di Rimbaud appare così irreale e totalmente in contrasto con le ambientazioni newyorkesi degli anni ’70, trasmettendo un’immagine di inquietante malinconia.
Scatti fotografici di tutt’altro genere sono quelli di Josephine Pryde, che cita in modo parodistico le opere di Christopher
Più che di riferimento, di rifacimento si tratta nel caso di Jonathan Monk. Il debito in questo è caso è chiarissimo e la scritta speculare non lascia adito a dubbi. Monk ripropone infatti la Struttura per stare in piedi di Michelangelo Pistoletto, adattata però alla sua altezza ed adattabile a quella dell’eventuale acquirente. Anche l’enfasi posta sull’angolo della struttura fa pensare ad alcune soluzioni minimaliste e concettuali (i neon di Flavin, il Corner Piece di Morris) ed è curioso notare come opere nate nella più assoluta autoreferenzialità diventino oggetto privilegiato di citazione.
A chiudere il cerchio, due video di Jonas Mekas, protagonista della sperimentazione filmica e video degli anni ‘60. Il regista lituano diviene punto di approdo e, allo stesso tempo, punto di partenza per un’intera generazione che si rifà al suo linguaggio espressivo. Come a dire che, anche nell’innovazione, la tradizione non muore. E a lei, in modo più o meno evidente, sempre occorre riferirsi.
alessandra troncone
mostra visitata il 21 giugno 2007
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