“Maestro, di qua”. Valentino Garavani (Voghera, 1932), abito chiaro davanti al pannello bianco dell’ingresso su cui spicca il suo nome, si volta a destra verso il fotografo. “Maestro, maestro… anche di qua”. E lui concede, regale, il volto a sinistra, verso altri fotografi. Poi si accorge di avere ancora in mano gli occhiali da sole e li lancia verso le giornaliste (pochissimi gli uomini della stampa), proprio come la sposa con il bouquet.
Così ha inizio l’incontro-omaggio nel Museo dell’Ara Pacis popolato di abiti, circa 300 inclusi accessori, schizzi e figurini. L’occasione è la celebrazione di Valentino a Roma. 45 Years of Style, in concomitanza con il ritorno -dopo 17 anni- del couturier sulle passerelle romane per presentare la sua nuova sfilata d’alta moda.
Altra tappa importante sarà, per la capitale, la creazione del Museo di Valentino, nel vecchio autoparco del Comune, già mercato del pesce, a ridosso della chiesa di S. Teodoro, presso il Circo Massimo e i Fori. L’annuncio ufficiale è del sindaco Veltroni.
Nel frattempo partecipare a questa processione pagana, nell’edificio rimodellato da Richard Meyer, ha un che di sacrale. La musica prende per mano, accompagnando lo sguardo ingordo, complice l’allestimento scenografico. Si passa per il tunnel di abiti sfavillanti, disposti su entrambe le pareti, cielo-terra, una sorta di armadio senza ante della fantasia, l’anticamera dei sogni. A fare gli onori di casa è Giancarlo Giammetti, partner storico dello stilista. Il vestito su cui la parola “pace” si traduce nelle varie lingue; l’abito da sposa con il velo lungo; l’arlecchino di tulle, che ruotando si moltiplica nel gioco degli specchi.
Lunga la vetrata che dà sul Lungotevere. Visibili anche da chi passeggia esternamente i capi che, di anno in anno, ricostruiscono il percorso di uno stile. Il primo abito, del 1950, disegnato all’epoca ma realizzato solo successivamente non ha mai sfilato; gli animal print del ’65, la nascita della “V” -monogramma della maison- sugli abiti nel ’68, le contaminazioni esotiche…
Pochi hanno saputo osare, interpretando la materia, giocando con il colore. Valentino, certamente sì. Quel “rosso Valentino” (ispirazione nata durante un viaggio in Spagna, tanto tempo fa), ad esempio, che vestono tutti i manichini -come vestali robot sospese tra passato e futuro- davanti all’altare di marmo. Dietro, invece, come i tasti del pianoforte, si alternano i bianchi e neri.
Una celebrazione personale, indubbiamente, con introduzioni nella nostra storia, non solo nella moda e nel regno del glamour. Amato dalle dive, il couturier ricambia il suo amore, esponendo su manichini sartoriali (su ognuno è ricamato il nome della legittima proprietaria) in fila -nella luce soffusa del piano inferiore- pezzi unici. Il vintage indossato da Julia Roberts per il Nobel, l’abito bianco con le perline di Audrey Hepburn; l’abito nero di Jackie Kennedy (non è che uno dei tanti realizzati per lei da Valentino, tra cui l’abito da sposa per le nozze con Onassis nel ‘68, donati dalla figlia Caroline). Difficile la scelta. Farah Diba indossava un sobrio abito beige, mentre saliva sul Boeing 727 che la portava via per sempre, nel ’79, da Teheran insieme a Reza Pahlevi. Giammetti non ha dubbi, è questo l’indumento più denso di emozioni. “Voleva uscire a testa alta, looking good per cominciare una nuova vita”.
Nelle teche anche i figurini (in archivio ce ne sono 40.000), alcuni schizzati con la biro, con le note in francese che ricordano gli esordi quando -giovanissimo- andò a Parigi per studiare stilismo all’Ecole de la Chambre Syndacale e lavorò per Jean Dessès e Guy Laroche. La sua ascesa avviene nel 1962, con la sfilata a Palazzo Pitti, pochi anni dopo aver aperto a Roma l’atelier di Via Condotti. “I miei abiti prendono vita da tanti piccoli sketch”, afferma Valentino, “ne faccio a decine, ovunque mi trovi”.
manuela de leonardis
mostra visitata il 6 luglio 2007
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E' la mostra di abiti più bella che abbia mai visto. Bella la location, bello l'allestimento e belli i vestiti selezionati. Di solito le mostre di abiti sono tristi e noiose. Invece qui sembra di assistere ad un rito con i cori laterali che si animano (anche se sono manichini). Da vedere assolutamente.