Aveva cominciato con l’essere avverso al cattolicesimo,
tanto da registrare sonorità blasfeme con il proprio gruppo, i Current 93. Ma,
qualche anno più tardi,
David Tibet (Batu Gajah, 1960;
vive a Hastings) trasforma quelle distorsioni acustiche in una
melodia leggera e penetrante, cambiando rotta musicale e introducendo nel suo
percorso un diversivo artistico.
Preghiere e inni a Dio caratterizzano non soltanto le
ultime composizioni della sua produzione, ma anche paesaggi essenziali su
cartoncini neri, in cui una Luna tonda si compone da arzigogolate scritture a
mano in pastello bianco:
The kindom of Heaven is whitin you as space o
Prayer of hallucinatory
mountain calcano
i lavori su cartoncino della sua prima personale italiana, ospitata nel giovane
spazio romano Motelsalieri.
Suddiviso in nicchie multifunzionali, in cui si nasconde
uno store di accessori e magliette, il Motelsalieri ripropone parte del
progetto di Tibet esposto un anno fa presso la Isis Gallery di Londra, in cui
rossi accesi e blu pieni s’incontravano a riempire il cielo di un cartoncino
abitato da ipotetiche stelle isolate.
Invocation of Hallucinatory Mountain presentava una serie di lavori in
cui il pastello si lascia guidare dalla pulsione spirituale dell’artista, che
dichiara di dipingere tutto ciò che penetra e vive la sua emotività.
Paura, amore e fede si raggomitolano dapprima nella flora
di uno scenario lunare deserto, per esplodere in forme umane quasi
fanciullesche, come a reincarnare un
Paul Klee sognatore, solo più fresco e meno
pittorico.
L’introspezione di Tibet, che si libera nelle scelte
cromatiche di alcuni lavori, la si ascolta anche nelle note che accompagnano il
visitatore in mostra: se durante l’inaugurazione infatti l’artista aveva scelto
del jazz anni ’20 come sottofondo musicale, il gallerista Fabio Quaranta in suo
omaggio predilige le sonorità di Tibet per accompagnare il percorso espositivo.
Dopo
Daniel Johnston, che con rock e disegni aveva inaugurato il
connubio fra arte e musica, David Tibet ne prosegue l’iniziativa, colorando lo
spazio creativo di via Lanza con suoni spirituali e un percorso interiore che
contrasta con le mura “artisticamente” rovinate, ma impone una riflessione:
riconoscere la propria fede assecondando il gesto del corpo.
L’arte si distacca dalla via concettuale intrapresa dalla
contemporaneità e ritorna soggettiva rivelazione di sentimenti.