L’Accademia di Danimarca a Roma è un’appartata Castalia a ridosso del verde di Villa Borghese, la cui sede -un gioiello dell’architettura razionalista di scuola scandinava, disegnato da Kay Fisker sul finire degli anni ‘60- ospita artisti e studiosi delle più diverse discipline. Nell’auditorium interno è in corso una concentrata personale di Siri Kollandsrud, pittrice di origini norvegesi residente a Copenaghen e attuale borsista dell’Accademia.
Impegnata da anni a sviluppare una significativa vena introspettivo-espressionista attraverso il mezzo pittorico, ma con frequenti incursioni nell’essenzialità del disegno, la Kollandsrud espone per l’occasione una serie di opere su carta realizzate nel corso del soggiorno in Italia. Sono lavori per lo più di medie dimensioni, presentati con trasparente minimalismo senza alcuna cornice o altri apparati espositivi, come ad amplificare la leggerezza del segno e dei colori impiegati per animare favole strettamente personali. Assai rilevante, in effetti, è l’elemento narrativo nelle immagini, espressioni di un inconscio che l’artista lascia emergere in termini spesso inquieti ma mai drammaticamente scomposti, mescolando presenze figurative, solitamente delineate a matita e carboncino, con fremiti di materia organica dove predomina l’energia cromatica delle tempere o dei pastelli. C’è, in generale, una traccia di dolenza tipicamente nordica, soprattutto nella definizione di situazioni emozionali sospese, disposte in una natura al contempo avvolgente e misteriosa, fatta di forme spesso indefinibili. Corpi -potrebbero essere cadaveri, ma anche rilassati villeggianti- che galleggiano immobili nelle acque di un lago circondato da alberi morbidamente irreali, ragazze che passeggiano lungo giardini impossibili portandosi con apparente noncuranza una bara sulle spalle, esseri antropomorfi colti in una quiete domestica di straniante normalità.
Si va così a comporre un universo sorprendente, dove la linea sinuosamente nevrotica di Edvard Munch pare combinarsi a un rovello onirico degno di Francesco Clemente o Richard Tuttle, giusto per richiamare i primi riferimenti che vengono in mente. Trasportata, come recita immaginifico il titolo, sotto altre nuvole (presumibilmente quelle romane) di un medesimo cielo, l’inquietudine di Kollandsrud mantiene così la freschezza visiva propria del post-minimalismo che alcuni dei nomi appena citati tanto hanno contribuito a sviluppare, continuando ad alternare quella spontaneità e riflessione che, secondo il giudizio di Mai Misfeldt formulato in occasione di una sua precedente personale, costituiscono le caratteristiche più felici dell’artista.
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La pagina personale dell’artista
luca arnaudo
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