Non troppo tempo fa,
Susana Serpas Soriano (El Salvador, 1976; vive a Roma) ha fatto un sogno che non ha mai smesso di farla riflettere. Era già da un po’ che s’interrogava, cercando di capire il motivo per cui la sua attenzione di artista era calamitata dal corpo umano. “
Nel sogno, qualcuno – non saprei se un uomo o una donna – mi diceva che la risposta è nell’ombra del tuono”, spiega. “
Ogni verità ha un’ombra. L’ombra del tuono è la traccia di un’energia. Di solito, in presenza di un temporale, c’è la scarica elettrica e subito dopo il tuono. Tra le due fasi c’è un riverbero. È quella l’ombra del tuono: un punto di passaggio tra la forza, lo stordimento… È una visione”. Non è un caso, allora, che nel titolo di questa sua prima personale sia associata la parola “wunderkammern” al frammento “l’ombra del tuono”, che suona così poetico.
Il ritmo della visione segue una costruzione prospettica scenografica, in base alle peculiarità dello spazio che avvolge e respinge. Chiave fondamentale, la forma quadrata. Al centro della parete del Museo Laboratorio, l’osservatore è catturato da quelli che Serpas chiama “
volumi prospettici”: internamente contengono fotografie che si riflettono attraverso lo specchio. Sono sempre corpi privati di un’identità specifica, che rimandano all’idea di uomo in senso assoluto, sempre però in area occidentale. Nelle fotografie dette
I giganti (stampe digitali su carta cotone, particolarmente adatta a rendere l’effetto pittorico dell’epidermide), i corpi compressi sono avvolti da ali d’acciaio.
Simmetricamente, da un lato e dall’altro, le immagini vanno a scalare “
come vertebre” verso i pannelli con i collage. C’è un dialogo intenso tra le fotografie che l’artista scatta personalmente e le immagini anonime che assembla: “
Nasco come fotografa. Mi sono sempre occupata di documentazione di opere d’arte; dagli ultimi tre anni ho iniziato a dedicarmi a una mia ricerca personale. Da sempre, però, ho la mania di ritagliare immagini di giornale, come se fossero appunti. Raccontano il mondo che viviamo, le influenze che subiamo”. Dal 1999 al 2004 Susana Serpas Soriano ha lavorato nello studio di
Claudio Abate, di cui ammira “
la razionalità di guardare le cose sempre con distacco”.
Il suo racconto prosegue sulla parete opposta, dove molti corpi sono intrappolati nelle campane di vetro. Mani contorte, nervose, inquiete s’intrecciano. Frammenti di corpi arrivati al limite della sopportazione: “
Semplici gesti che esprimono il pathos della sofferenza, o comunque la negazione delle proprie emozioni”.
Non è un monito. Piuttosto è l’idea della compressione dovuta alle troppe informazioni che arrivano dall’esterno, e che distraggono l’uomo dall’ascolto del proprio sé.