Nel 1300, anno in cui Dante idealmente ambienta il suo viaggio attraverso i tre regni dell’aldilà , il ponte di Castel Sant’Angelo era l’unico che permettesse di arrivare dalla città a San Pietro. I pellegrini durante quel primo anno del Giubileo marciavano in due file: da un lato per ottenere l’indulgenza plenaria diretti verso la basilica, dall’altro tornando indietro volgendo la fronte “verso il monte” (Divina Commedia, Canto XVIII, 28-33). Proprio il riferimento ad un frammento di cultura classica, italiana, ad un’importante testimonianza storico-religiosa, si fa punto di avvio per la promozione di un progetto espositivo di arte contemporanea nel nuovo spazio offerto da Interno Ventidue, spazio con sede sul citato “monte”, il Monte Giordano.
Oliviero Rainaldi (Caramaico Terme, 1957) fa da apripista al progetto con quattro opere titolate tutte Malebolge. Seguendo un’idea di Luca Barreca, creatore del progetto espositivo, Rainaldi mostra la capacità di reintrepretare l’immagine dantesca dei dannati fraudolenti che percorrono l’VIII cerchio infernale, nelle Malebolge, avanti e dietro frustati dai “demoni cornuti” e costretti ad una “dolorosa purificazione”. Per metà le simil-sculture di Rainaldi appaiono ancorate ad una logica espositiva che è quella del quadro: appese o appoggiate alle pareti funzionano come dipinti da contemplare. Il materiale compositivo -da uno strato di legno, alle colature di gesso sino alla sabbia e al cemento- sembra essere l’opera attenta di una costruzione artigianale della tela su cui intervenire poi, in un secondo tempo. Eppure, gli ovali di bronzo che ne fuoriescono fanno in modo che quella stessa base diventi elemento centrale nell’opera: le figure vaghe, forme umane androgine, sembrano come arrancare, emergere a fatica da una materia liquida che li trattiene.
La verticalità che si osserva anche quando l’opera è propriamente una scultura intorno alla quale è possibile girare in tondo, un parallelepipedo che si erge dal pavimento della prima sala, mantiene quell’aspetto di liquefazione che le colate dei differenti materiali hanno saputo dare.
Negli ambienti ampi della galleria, tre sale comprensive dello studio, nelle atmosfere quattrocentesche di Palazzo Taverna, il “color ferrigno”, che Dante attribuisce al luogo infernale e che Rainaldi dona alle sue opere, risalta sul bianco neutro delle pareti e del pavimento. Ancora: il bronzo dei volti di tre delle opere, e la ceramica per l’ultima della serie, attiva sia per il diverso materiale sia per il trattamento che ne deriva un contrasto interessante. Tra tensione della materia della struttura portante, e levigatezza delle superfici figurative che ne emergono. La scelta di un’artista come Rainaldi, forte dell’esperienza a Palazzo Venezia lo scorso novembre, e la capacità di questi di sapersi affermare in un panorama artistico come quello contemporaneo pur operando tradizionalmente, per committenza, come accade in questo caso, mostra una volontà quanto mai attuale nel campo dell’arte di volersi far carico anche e soprattutto degli ambienti di ricezione dell’opera, della storia che essi portano con sé. La citazione letteraria, lo spazio storico che ospita la mostra, la ricerca artistica di Oliviero Rainaldi nel campo della spiritualità , sono tutti elementi integranti e parti attive per la godibilità della visione complessiva.
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chiara li volti
mostra visitata il 18 giugno 2007
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