Talvolta si pensa all’Impressionismo come a una teoria che
si serve della natura per sperimentare scomposizioni e combinazioni cromatiche,
ombre e luci. Il Vittoriano invece permette di allontanarsi dal riduzionismo,
creando sviluppi capaci di incuriosire non solo il grande pubblico, ma anche lo
spettatore esperto.
In principio è il bianco e nero. Luce, sagome d’alberi,
riflessi dell’acqua: fotogrammi in sequenza che ritmicamente trasportano dentro
la mostra, preparando la strada alla pittura. Lo si vede nelle fotografie di
Cuvelier, dove rami nodosi e danzanti
disperdono, come inchiostro nel latte, vene capillari in un cielo compatto.
Troveremo le stesse movenze di braccia flessuose più avanti nelle piante de
Il
campanile di Bazincourt, di un
Pissarro che sembra preannunciare
van Gogh. Mentre le giunchiglie spinte dal
vento sul filo dell’acqua e le erbe animate dall’aria sembrano passare nelle
ventose vedute di
Corot, prima di arrivare a Pissarro e
Monet.
Alcuni fotografi, come
Vergier, si impressionano di
Romanticismo; altri, come
Famin, si includono in una meditazione più novecentesca,
umanizzata, consapevole del limite. È da qui che i nuovi pittori francesi
entrano nella natura, non per dominarla né per sottomettersi a essa come a una
sublime matrigna, ma con uno sguardo onesto e paritario che ne esalta la
bellezza. Dalle opere sembra così di cogliere una relazione fra la natura e
l’artista, una confidenza da collaboratori, un reciproco piacere, dell’una nel
farsi ritrarre, dell’altro nell’assaporarla con tutti i sensi e comprenderla al
punto da poterne riprodurre il vento, l’umidità, la quiete.
Il percorso della mostra segue questo viaggio di
approfondimento e comunione con e dentro la natura. Di fronte a un’inondazione
Sisley riesce così ad adottare una
prospettiva insolita: prende le distanze dal disagio per l’uomo e dai toni di
catastrofe, vedendo la calamità come momento di rigenerazione, l’acqua come
alito di vita, fonte di una gioia che si esprime nei toni del lilla. Il cammino
prosegue con i rosa violacei e i grigi tendenti all’arancio dei tramonti di
Cazin, vedute vicine all’anima, che
trasportano all’interno dell’opera.
Questa rappresentazione del paesaggio, sentito dapprima
attraverso i sensi e poco a poco prendendo contatto con le emozioni, conduce
fino a un
Renoir “espressionista”, che palesa sulla tela il proprio godimento sensoriale e
spirituale nel privato paradiso terreste della sua proprietà di Les Collettes.
Il dialogo fra l’artista e la natura diventa intima fusione nelle Ninfee di
Monet, dove soddisfatta ormai la
curiosità realistica, placato il bisogno di esplicitare sensazioni, rimane
l’astrazione: figure sospese senza prospettiva, colori soffusi senza chiara
corrispondenza con gli elementi naturali, siano essi acqua, aria o terra.
Un momento di meditazione intimo sul quale il pittore
lascia una porta aperta, un appiglio realistico, nei bordi grezzi della tela.