Ritmo, ritmo. Durante la
lecture introduttiva dedicata alla sua opera,
Martin Creed (Wakefield, 1968; vive a Londra) è un ragazzo severo come un uomo (o il contrario, non si capisce bene) che continua a ripetere che l’arte è ritmo, qualcosa che si dà in battere e levare e che agisce sullo sfondo (“
È per mezzo della ripetizione che ti accorgi di ciò che si muove liberamente”). Niente da eccepire.
Ok, nei suoi video più discussi ci sono il vomito e la cacca, e il pubblico chiede conto soprattutto di questo, ma a ben guardare ciò che importa è il
dai e vai. Perché quelle di Creed sono metronomie, progressioni che eludono la solennità del minimalismo senza uscire dal raggio d’azione della sua indagine. Si potrebbe parlare di
riduzionismo comico, laddove la cifra squisitamente “portatile” di questo artista poggia sulla dissociazione tra fredda registrazione sequenziale e predilezione per il referente giocondo, volatile o anche faceto. Vanno benissimo, perciò, i muri di palloncini, le infilate di vasi di piante grasse, le orchestre con musicisti allineati anziché disposti a grappolo (senza dimenticare i succitati incidenti corporali su fondali
white cube).
La personale romana è un gioiello di leggerezza e rigore a bassa fedeltà. Senza foto né immagini in movimento, senza video o still, Creed s’è messo a impilare la realtà operando su due registri all’apparenza opposti, abbinando con ferrea semplicità segno bidimensionale e prelievo oggettuale. La formula resta la stessa: impaginare una sorta di
downtempo per mezzo di iterazioni visive ovvie, sorprendenti o minate in se stesse.
La novità è che qui l’artista ha lavorato per scomposizione, articolando/radicalizzando la riflessione entro uno svolgimento binario. Da una parte c’è l’intervento a parete, squisitamente
ab abstracto, con strutture ortogonali che descrivono elementari distese euritmiche, ma anche tempi dispari e ampie battute isolate (tre wall-painting, più un piccolo acrilico su tela); dall’altra ci sono gli spigoli vivissimi di comuni -ma dissonanti- sedie e tavoli, sovrapposti l’un l’altro a comporre in controcanto cadenze non meno schiette e precarie. Viene così messa a fuoco, al solito con spiritosa esattezza, un’ipotesi di agilità contundente declinata per chiasmi, una ritmica scrupolosa e sbilenca sia idealmente che materialmente.
È il classico artista che dà sui nervi, Martin Creed, e infatti in Italia non piace granché. Non gli si addice la fissità: tutta la sua produzione, che pure è all’insegna del più spinto
less is more concettual-minimalista, rifugge come la peste tonalità sacrali e modalità ombelicali. Di più: gli sta a cuore che le persone possano “
muoversi tra le opere in mostra”, laddove un’affermazione del genere sottintende l’auspicio che il movimento in questione abbia a prodursi il più rapidamente possibile.
Perché storcere il naso? Come esistono scrittori grandissimi i cui capolavori vanno letti con una mano sola, così ci sono artisti dei quali bisogna saper cogliere non tanto il pensiero, quanto
lo scatto del pensiero.
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sono andata troppo veloce,non ho colto lo 'scatto' dell'artista.Certo se ci fossi arrivata prima a impilare due sedie mi sarei risparmiata tanto e cioè ,amore e passione che metto nelle opere che alla fine ne ricompensano la fatica .A lavorare!!