Si parte dai ritratti, figure scomposte e riassemblate,
arti scollegati, riattaccati “a caso” e intrecciati. Fuori delle regole
dell’anatomia, le parti del corpo umano si ricollocano e si ridimensionano in base
alla loro importanza emozionale – per i soggetti ritratti e per l’autore -, in
base alla sintesi temporale di una narrazione che si svolge in una sola scena,
alla sintesi spaziale picassiana di molteplici punti d’osservazione, a quella
più pirandelliana di diversi possibili sguardi, impressioni e interpretazioni.
Corpi, posture e gesti divengono inoltre raffigurazioni
simultanee di un’apparenza mostrata per dovere e di un diverso desiderio
d’essere e agire. Un busto si protende in avanti; non lo seguono i piedi, volti
all’indietro. Una mano si piega verso il basso come a dare la pace, l’altra
s’innalza come a sferrare uno schiaffo.
Viene in soccorso al proliferare del
soggetto e allo straniamento dello spettatore un’impostazione estetica di tipo
classico, fatta di occupazione bilanciata dello spazio e armonia della
composizione e del colore.
È il classico che argina l’indiano, ma che allo stesso
tempo lo sostiene, perché ne ha bisogno, così come alla ragione serve
l’intuizione e viceversa. È questo il binomio che fa da leitmotiv in buona
parte della produzione di
Gérard Garouste (Parigi, 1946) e quindi al suo sentire, alla sua
doppiezza.
Classico è innanzitutto nella scelta del medium pittorico,
d’illustri precedenti come
Tintoretto,
Blake,
Géricault,
Bacon, di fonti letterarie come la Bibbia, Dante, Cervantes,
Rabelais. L’ancoraggio alla tradizione si spiega soprattutto col bisogno umano
di rifugiarsi in una dimensione profonda e mitica, meno appiattita della
realtà. L’evocatività della cultura serve a sognare e ad arricchire di senso la
vita reale.
Ma come fare se l’appagamento di un bisogno sfocia in
un’onirica, idealizzata dipendenza? Garouste gestisce – o almeno ci prova – la
difficile convivenza con i giganti della cultura attraverso l’ironia, mettendosi
la maschera del gobbo, del joker, dell’indiano, dell’essere indigeno, primitivo
e incolto, che dalla sua ha l’istinto e un’ingenuità inattaccabile, i quali lo
rendono libero anche di fare il verso e la caricatura all’arte. È un
compromesso: la ricerca dell’originalità senza negare la tradizione; è un
avvicendarsi di slanci indiani e frenate classiche.
Da questa doppiezza, problematica e non del tutto
accettata dall’autore, da questi due poli che si sfregano con attrito, si
sprigiona la scintilla schizofrenica dell’arte di Garouste. Opere potenti nel
disegno, nel colore, nella deformazione provocatoria e desiderosa di
comunicare. Opere che con grazia superano la prova del gusto, si fanno
accettare dall’occhio, per mettere in crisi la coscienza.
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posso dire uno dei piu grandi pittori in circolazione?
...credo proprio che non puoi.
e invece posso guarda un pò
fammi gli esempi migliori, vediamo un pò il tuo livello,
bastian contrario ( o forse conforme)