Possono ripiegarsi fino ad entrare in una scatola, inarcare la schiena assumendo posizioni improbabili, trasformarsi in un groviglio di braccia, gambe e teste, disarticolato eppure perfettamente armonico. Sono i contorsionisti, in scena alla Galleria Lipanjepuntin attraverso i dipinti, le sculture e le fotografie di Albano Guatti (Udine, 1950), che ne esplora le condizioni di iperflessibilità corporea.
Fin dagli esordi negli anni Settanta, Guatti, che artisticamente si è formato tra New York e Los Angeles nell’ambito della neo avanguardia concettuale, ha focalizzato la sua ricerca sul tema del corpo e del movimento, analizzando le modifiche dello spazio nell’incessante fluire di scorci del quotidiano e di luoghi dell’immaginario.
La sua fotografia in particolare, definita dal critico Peter Weiermair “dinamicizzata”, è distinta da un perpetuo requisito d’instabilità, dal succedersi d’immagini e di movimenti fissati senza una logica apparente. Ne risulta un conglomerato di percezioni, di realtà molteplici sovrapposte, di causalità bloccate nel loro evolversi. Da questo insieme di più elementi, l’opera di Guatti scaturisce come invenzione libera, di estrema mobilità -si pensi a Movimento equestre (2004), gigantesco cavallo in tessuto sintetico che si libra nell’aria e s’affloscia a tempo, metafora della precarietà e dell’effimero- e si esprime tramite sperimentazioni sempre difformi tra loro e dai risultati discontinui, che l’hanno resa talvolta spigolosa e di difficile classificazione.
Anche i lavori presenti in questa mostra negano qualsiasi uniformità stilistico-formale o di genere. Evidente è la liaison con l’arte cinetica per i temi congiunti al moto, ma anche la rivalutazione che essa compie nei confronti di correnti come Futurismo, Dadaismo, Costruttivismo, De Stijl e Bauhaus. Così come è rintracciabile l’influenza della secessione Viennese (Klimt e Schiele) quando i corpi, divenuti snelli e leggeri, liberati dai gravami plastico-volumetrici, vengono sottomessi a torsioni di straordinaria artificiosità.
La scultura Kiss the kiss, una coppia incurvata in un esercizio estremo a sfondo erotico, può suggerire un’ironica e policroma rivisitazione delle Figure in spiaggia (1931) di Pablo Picasso. Le due stampe su allumino Untitled I e II, contorsioni di figure bianche su fondo nero, sono accostabili invece alla serie prodotta da Youri Messen-Jaschin intorno agli anni Settanta su soggetti connessi alla danza e alla ricerca del movimento.
L’unica coerenza cercata e mantenuta dal Guatti è quella concettuale. Il contorsionista è simbolo del nodo infinito (in sanscrito srivatsa) spesso presente nell’iconografia tibetana (legame di interdipendenza tra i fenomeni nel loro divenire, senza inizio né fine), ma anche del processo esasperato di disumanizzazione che trasmuta il corpo in oggetto o decoro. Qui si fa macchina, interprete di un’azione. È atto creativo che al tempo stesso si fa performativo coinvolgendo, seppure nel territorio dell’inconscio, l’artista, lo spettatore e l’ambiente stesso.
lori adragna
mostra visitata il 14 dicembre 2006
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