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08
gennaio 2008
fino al 3.II.2008 Falso movimento Genazzano (rm), Ciac
roma
Una collettiva dove si interferisce l’uno con l’altro, ma senza sgarbi. Con un allestimento che aiuta a distinguere i sapori. E un film di Wenders come spunto centrale. Per un progetto sul tempo, la storia, la memoria e l’uomo...
La lista di artisti è importante e Genazzano ne ospita le opere in un Castello dell’XI secolo. L’allestimento è curato e il concept nasce dal film di Wim Wenders, Falso movimento, su cui interferiscono tutti i lavori. Da qui l’idea di movimento nella sua accezione dell’andare oltre, come nel portentoso Back in Black (2005) di Adrian Tranquilli, che s’impone scenografico con un immenso cerchio di carbone all’interno del quale un pensieroso e abbattuto Batman è in bilico tra l’uomo perdente e il mito vincitore.
Più scientifico Richard Journo, in cui l’immagine di un corpo nudo viene proiettata dall’alto verso il basso a riprendere le iconografie secentesche delle lezioni di anatomia, quelle del Signor Tulp di Rembrandt. Il video è la costruzione scheletrica fino alla totale composizione del suo corpo, scandita da un sound che si scopre essere traduzione sonora delle lettere che compongono il titolo dell’opera, Biotechnology bodymachine (aesthetika genetika continues). Sempre anatomico l’intervento del 2005 di Alessandro Bellucco, per l’occasione incrementato da anomali sonori dormienti o sofferenti di un uomo, la cui carnalità sanguigna richiama la materia delle tele cruciformi, anch’esse in mostra.
Rocco Dubbini, dislocandosi in due sale distinte e ostacolate da un viale di cipressi falsamente prospettico, stupisce con un lavoro concettuale che si interseca saggiamente con le intenzioni della curatela. Costringe sarcasticamente gl’interventi successivi di Bruna Esposito e Nordine Sajot in una barriera architettonica entro cui entrare e uscire. All’ingresso, l’ufo-cupola di tufo si contrappone alle stampe fotografiche che ne riprendono l’interno, digitalizzandosi, in uscita, in un video animato sospeso nell’aria. Slegato da questa morsa il contributo di Alessandro Bulgini, che pur ne riecheggia il concetto architettonico. Divaricando ulteriormente il concetto di straniamento del progetto Hairetikos, pone le tele in una condizione di irraggiungibilità architettonica, a cui è ancora più impossibile giungere, se non tramite la fragile scala impraticabile.
Carlo De Meo e la cappella affidatagli: le immagini sacre affrescate sottolineano la solitudine del suo alter ego, quasi a rubargli la scena. Divertente e drammatico come sempre, ci invita in un contesto bombardato di cose e racconti. Ma prima pulitevi le scarpe con il tappetino a forma di zeta di Zorro. Una linea di demarcazione.
E sui limiti della storia, del tempo, conclude Gea Casolaro, incalzando con la semplicità del quotidiano, col gesto usuale, con l’accaduto che riaffiora in un binario tanto anonimo e freddo quanto noto e rovente per il suo accaduto. Il racconto sussurrato di una strage. Quella di Bologna, proiettata in un camino.
Più scientifico Richard Journo, in cui l’immagine di un corpo nudo viene proiettata dall’alto verso il basso a riprendere le iconografie secentesche delle lezioni di anatomia, quelle del Signor Tulp di Rembrandt. Il video è la costruzione scheletrica fino alla totale composizione del suo corpo, scandita da un sound che si scopre essere traduzione sonora delle lettere che compongono il titolo dell’opera, Biotechnology bodymachine (aesthetika genetika continues). Sempre anatomico l’intervento del 2005 di Alessandro Bellucco, per l’occasione incrementato da anomali sonori dormienti o sofferenti di un uomo, la cui carnalità sanguigna richiama la materia delle tele cruciformi, anch’esse in mostra.
Rocco Dubbini, dislocandosi in due sale distinte e ostacolate da un viale di cipressi falsamente prospettico, stupisce con un lavoro concettuale che si interseca saggiamente con le intenzioni della curatela. Costringe sarcasticamente gl’interventi successivi di Bruna Esposito e Nordine Sajot in una barriera architettonica entro cui entrare e uscire. All’ingresso, l’ufo-cupola di tufo si contrappone alle stampe fotografiche che ne riprendono l’interno, digitalizzandosi, in uscita, in un video animato sospeso nell’aria. Slegato da questa morsa il contributo di Alessandro Bulgini, che pur ne riecheggia il concetto architettonico. Divaricando ulteriormente il concetto di straniamento del progetto Hairetikos, pone le tele in una condizione di irraggiungibilità architettonica, a cui è ancora più impossibile giungere, se non tramite la fragile scala impraticabile.
Carlo De Meo e la cappella affidatagli: le immagini sacre affrescate sottolineano la solitudine del suo alter ego, quasi a rubargli la scena. Divertente e drammatico come sempre, ci invita in un contesto bombardato di cose e racconti. Ma prima pulitevi le scarpe con il tappetino a forma di zeta di Zorro. Una linea di demarcazione.
E sui limiti della storia, del tempo, conclude Gea Casolaro, incalzando con la semplicità del quotidiano, col gesto usuale, con l’accaduto che riaffiora in un binario tanto anonimo e freddo quanto noto e rovente per il suo accaduto. Il racconto sussurrato di una strage. Quella di Bologna, proiettata in un camino.
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dal 24 novembre 2007 al 3 febbraio 2008
Falso movimento
a cura di Claudio Libero Pisano
CIAC – Centro Internazionale per l’Arte Contemporanea – Castello Colonna
Piazza San Nicola, 4 – 00030 Genazzano (RM)
Orario: da venerdì a domenica ore 9-13 e 15-19
Ingresso libero
Catalogo con testi di Claudio Libero Pisano, Dobrila Denegri, Federica La Paglia, Laura Barreca
Info: tel. +39 069579010; fax 06 87450492; press@castello-colonna.it; www.castello-colonna.it
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