Attratto dalle esperienze artistiche primitive e da uno stile di vita anticonformista,
Paul Gauguin (Parigi, 1848 – Hiva Oa, 1903) riscopre la mitologia del viaggio, stravolgendone le coordinate. Il suo spirito irrequieto ricerca mondi lontani, avulsi dal perbenismo borghese. Il Perù, dove l’artista trascorre l’infanzia, diventerà il primo di una serie di paradisi perduti.
Nel 1876 Gauguin è accettato al Salon e, dopo aver conosciuto
Pissarro e
Cézanne, nel 1879 partecipa alla quarta mostra impressionista. Nel 1883 si trasferisce a Rouen, dedicandosi unicamente alla pittura. Da quel momento effettuerà una serie di viaggi ed esperienze che contribuiranno in maniera determinante alla maturazione del suo genio artistico. Nel 1886 e nel 1888, a Pont-Aven, insieme a
Émile Bernard elabora la teoria sintetista che, distinguendosi dall’impressionismo, si avvale d’immaginazione, mito e sogno. A quel periodo risalgono tele sempre più astratte e sognanti, mentre per la prima volta è introdotto il folklore e l’esotico. Ne testimonia
Paesaggio in Bretagna (1885), in cui l’esplosione di colore e l’abbondanza di elementi compositivi s’intrecciano con una vegetazione lussureggiante.
Natura morta con fruttiera (1880) e
Clovis (1886) mostrano ancora un’esplicita contaminazione cézanniana e manetiana: le pennellate sono brevi e veloci, mentre la figura comincia ad apparire ritagliata sullo sfondo in omaggio ai maestri giapponesi,
Hokusai e
Hiroshige. In
Vecchio col bastone (1888), Gauguin affonda il colore nei contorni scuri che sbalzano la sagoma in primo piano, accentuando il vigore delle mani col rosso vermiglio. Anche le opere in ceramica e le acqueforti sottolineano la passione per le figure appiattite, tipiche del gusto decorativo orientale.
Tra il 1891 e il 1893, Gauguin parte per Tahiti in cerca di “primitività e selvatichezza”. Scontrandosi con la realtà colonizzata, non riuscirà mai a fuggire totalmente le convenzioni. Il suo sguardo sarà costantemente rivolto verso e in sostegno dei nativi. Così dipinge
Les Parau Parau (Conversation) (1891-92), che sembra richiamare l’impostazione del
Déjeuner sur l’herbe (1863) di
Manet, ma in un contesto totalmente cambiato: non è più lo “spogliato” femminile a dar scandalo, bensì l’impiego di una tavolozza di colori accesa e rivoluzionaria, e la predilezione per un soggetto assolutamente inconsueto, le donne tahitiane. Il periodo trascorso sulle isole Marchesi si rivela disperato, per le fragili condizioni di salute e la solitudine, ma artisticamente il più produttivo. I colori si attenuano mentre i soggetti si fanno simbolici, letterari e mitici. Spesso i nativi sono ritratti al lavoro, in segno di protesta contro lo sfruttamento imposto dai coloni. Del 1899 è
Te Avae No Maria (
Il mese di Maria), in cui il fondo perde la sua consistenza impregnando gli elementi naturali di significati ulteriori e lasciando galleggiare la figura femminile in una posa non esattamente naturalistica. Nel 1901 l’artista realizza
Idillio tahitiano, concentrandovi tutti i suoi temi: la natura e i paesaggi incontaminati vagheggiati da sempre, i nativi e, di lontano, la minaccia di un veliero in cerca di conquista.
Ripercorrendo la vita di Gauguin attraverso quadri, disegni, xilografie, ceramiche e lettere, la mostra curata da Stephen F. Eisenman raccoglie un elevato numero di opere notevoli. E, grazie alla nuova disposizione delle sale del Vittoriano, lo spazio espositivo è reso finalmente agevole e di ampio respiro.